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Cultura

Torna in libreria “Malacqua” di Nicola Pugliese

(Articolo: Daniela Giordano)
NAPOLI – “E sulla città questo velo di pioggia, e si avvertiva l’attesa, quest’attesa sfibrante come agonia d’animale, viva e densa come sangue che esca interminabilmente.”

Malacqua è il romanzo del giornalista napoletano Nicola Pugliese (Milano, 1944 – Avella, 25 aprile 2012), pubblicato da Einaudi nel 1977, che torna in libreria dopo ben trentasette anni grazie a Tullio Pironti Editore. Scomparso un anno fa, è stato proprio l’autore a decidere che tornasse in stampa dopo la sua morte, mettendo per iscritto la volontà che a occuparsene fosse l’editore di Piazza Dante. Il libro all’epoca ebbe un grande successo, per l’entusiasmo di Italo Calvino che lo inserì nella prestigiosa collana Einaudi, da lui stesso curata, Nuovi Coralli. Sebbene fosse stato considerato dalla critica un capolavoro letterario, accostabile ai classici del Novecento di matrice kafkiana e al “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez, in pochi anni cadde nel dimenticatoio e mai più dato alle ristampe. A nulla è valsa la considerazione – ancora attuale – che sia uno dei migliori libri su Napoli, per la potenza della narrazione e la rottura dagli schemi classici, tanto d’accostarlo al più fortunato “Ferito a morte” di Raffaele La Capria.

Come ha rivelato lo stesso Pugliese in un’intervista ancora inedita (ma che presto verrà pubblicata), forse a pesare fu il pregiudizio per il giornale in cui scriveva: Il Roma di Achille Lauro, comunemente associato alla Destra. A prescindere dalle ragioni, quando il giornale decise di chiudere in un momento di crisi, abbandonò la carriera per ritirarsi a vita privata nel comune avellinese, in una sorta di esilio volontario, in cui poté finalmente dedicarsi alle vere passioni: la famiglia, la pittura, i racconti – che prediligeva scrivere; infatti, solo di recente, nel 2008, la piccola casa Compagnia dei Trovatori, ne ha pubblicato una raccolta dal titolo “La Nave Nera” – e le giocate a carte nel bar del paese, altra grande passione di cui era campione indiscusso. E se solo negli ultimi anni, il rinnovato interesse per la sua opera unica aveva portato case editrici e colleghi ad avanzare richieste di ristampa, a quel punto fu lo stesso autore a opporvisi, forse per timidezza, pudore o quell’inguaribile pigrizia che lo distingueva. Fatto sta che la limitata disponibilità di copie ha contribuito ad alimentarne il mito e gli appassionati hanno potuto leggerlo soltanto per merito di un circuito ristrettissimo di copie in prestito, addirittura fotocopiate, ormai veri e propri cimeli assai contesi, che su eBay si trovavano a non meno di 50 euro.

Il libro è la cronaca di quattro giorni di pioggia ininterrotta a Napoli, “in attesa che si verifichi un Accadimento straordinario”, come recita il sottotitolo. Accadimento con la A maiuscola, a sottolineare un cattivo presagio, qualcosa di orribile che la pioggia avrebbe dovuto provocare, come a voler spazzare via l’intera città. Il tutto giocato su avvenimenti ai limiti del fantastico, intrecciati alla suspence tipica dei gialli. L’attesa (probabilmente anch’essa con la A maiuscola) e quanto questa determini, i pensieri, le riflessioni esistenziali e le prevedibili reazioni di un qui e ora, di vivere nel preciso istante perché ci si sente spacciati, perché l’indomani accadrà l’irreparabile, è forse l’altra protagonista, seppur impercettibile, ma sempre presente tra le righe. Il libro è anche un racconto di cronaca – d’altronde è scritto da un giornalista –, anzi è da essa che parte: dai resoconti della voragine, che si aprì in via Aniello Falcone, e dal crollo di una palazzina in via Tasso. Fatti realmente accaduti nel ’69 che provocarono la morte di alcune persone, tra cui un’intera famiglia. Giornalista è anche il protagonista, Andreoli Carlo, che tutti identificano come personaggio autobiografico dell’autore.

A confermarlo l’ipotesi, è stata la figlia Alessandra Pugliese – intervenuta all’evento di presentazione del libro, alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri, in cui Peppe Lanzetta ha prestato la propria voce per la lettura di alcuni passaggi – che ha sottolineato come il carattere schivo e taciturno di Andreoli Carlo le avesse sempre ricordato il padre. E ha aggiunto che quel malessere, quella perenne malinconia nel carattere, fosse il frutto del sogno mai realizzato di fare il marinaio e viaggiare per il mondo, anziché seguire con costrizione le orme del padre Antonio, nonostante la naturale propensione al giornalismo. Con lei era presente anche Armando Pugliese, fratello minore e regista teatrale, che ha raccontato di essere stato lui il tramite con Calvino, con cui stava collaborando per la trasposizione teatrale de “Il barone rampante”. E divertito, ha raccontato anche il famoso aneddoto delle profonde modifiche che questi gli suggerì, per dare più ritmo al primo capitolo, alle quali il fratello rispose con un secco: “O si pubblica così, o me lo rimandate indietro”.

A moderare l’incontro, i giornalisti: Armida Parisi (che al Roma occupa lo stesso posto di Capo della Cultura) e Giuseppe Pesce, il suo più attento studioso – su di lui ha scritto una tesi di laurea e diversi saggi su riviste letterarie – che sta ultimando il documentario d’interviste rilasciate poco prima di morire, grazie a quella stima pian piano conquistata che difficilmente Pugliese concedeva. Molto interessanti le riflessioni personali sul testo, esposte durante l’incontro: la tematica del dolore, a fare da sfondo, di sicura matrice gaddiana ma con un’evoluzione diversa dalla rabbia; le considerazioni secondo cui Malacqua non sia altro che il racconto di una “non-storia” che ben rappresenta però una città come Napoli, vista come un “altrove” piuttosto che un vero e proprio luogo. Ma sono state le “chicche” sull’elaborazione del dattiloscritto a incuriosire di più, come, ad esempio, quella di una scelta motivata dei quattro giorni d’ottobre in cui si evolve la storia. Pare, infatti, che coincidessero con un’importante interpellanza parlamentare, incentrata proprio su Napoli e il suo piegarsi alle calamità naturali. Ecco, dunque, il ritorno alla cronaca.

Può darsi che Nicola Pugliese abbia rimpianto tutta la vita di non aver potuto inseguire quel destino da viaggiatore tanto desiderato. Forse, ne ha determinato gli aspetti più intimi, la proverbiale malinconia. Forse, è proprio grazie a questi sentimenti che è stato capace di rappresentare così bene Napoli, le sue strade, il suo popolo. E gli hanno permesso di raccontare vicende tanto cariche di umanità. Così umili e semplici da renderle le vere protagoniste. Sarà stato il non-destino a fargli scrivere una non-storia tanto bella da leggere? Chissà. Le vie della narrazione sono infinite.

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