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Editoriali

Chi punisce lo Stato che uccide?

NAPOLI (di Attilio Iannuzzo) – La pena di morte è crudele e degradante, un affronto alla dignità umana. Ma non tutti la pensano allo stesso modo. L’ennesima sentenza del tribunale iracheno ha emesso la condanna a morte per l’ex vice primo ministro iracheno Tareq Aziz. Il numero due dopo Saddam. Un uomo che ha commesso crimini atroci, orribili. Tanto quanto è orribile la pena di morte, per chi la riceve, per chi la compie.

La pena di morte è oggi giorno praticata in 95 Stati: è presente in quasi tutti i paesi asiatici, in buona parte di quelli africani, in alcune zone della America, come Stati Uniti, Cuba e Cile, mentre in Europa è limitata esclusivamente ai territori della ex-Jugoslavia e alla Bulgaria. Di tutte queste nazioni, escludendo gli Stati Uniti, le più significative sono la Cina e il Giappone. In Cina, come del resto in tutti gli altri paesi asiatici, la pena di morte è massicciamente praticata; in tal senso, basti pensare che nel 1993 il 63% delle esecuzioni mondiali sono avvenute proprio in territorio cinese.

Nel 2009 sono state messe a morte almeno 714 persone in 18 paesi e condannate alla pena capitale almeno 2001 persone in 56 paesi. Lo chiarisce il  “Rapporto sulla pena di morte nel 2009” pubblicato da Amnesty International che sottolinea come i dati riportati non tengono conto delle migliaia di esecuzioni probabilmente avvenute in Cina in quanto il governo cinese continua a mantenere nascoste le informazioni sulla pena capitale coprendole col “segreto di stato”. Anche se sempre meno paesi fanno ricorso alle esecuzioni capitali, le condanne a morte sono ancora numerose. Per essere più vicini a un mondo libero bisognerà sempre e comunque opporsi ad ogni violenza dell’uomo, chiunque la compia, se l’uomo verso l’uomo o lo stato verso l’individuo.

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