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Wim Wenders a Villa Pignatelli, il regista diventa fotografo

NAPOLI (di Claudia Carbone) – Siamo nella suggestiva cornice di Villa Pignatelli a Napoli ed il protagonista è Wim Wenders in carne ed ossa.

Conosciuto dai più come regista di fama internazionale (per citare solo uno dei suoi successi ricordiamo “Il cielo sopra Berlino”, trionfo a Cannes nel 1987), Wim Wenders è stato invece a Napoli nelle vesti inedite di fotografo.

Wim WendersProprio Villa Pignatelli infatti, ospita fino al 17 novembre all’interno della Casa della fotografia, la mostra curata da Adriana Rispoli: “Wim Wenders Appunti di viaggio. Armenia Giappone Germania”, in cui si possono ammirare gli scatti che l’artista ha collezionato durante i suoi viaggi nei rispetti paesi. Il regista ieri ha dedicato qualche ora del suo tempo all’incontro con il pubblico, aprendosi ad un dialogo diretto con i visitatori della mostra.

Dopo una timida impressione è stato molto divertente (sì, divertente) ascoltare l’ironia, ma anche l’accortezza con cui Wenders ha risposto ad ogni domanda. Dalla sua voce abbiamo appreso che l’Armenia, nonostante sia un minuscolo paese, povero, stretto tra la conflittualità di altre nazioni, senza alcun sbocco sul mare, è un territorio che vanta una forte identità culturale (non è un caso che l’edificio più alto della capitale sia proprio la Biblioteca Nazionale) fondata sulla propria lingua, sull’alfabeto e sulle….”albicocche”! Da oggi tra l’altro a Napoli pare sia partita una vera e propria caccia alla ricerca della marmellata di albicocche armene.

Wenders ha svelato al pubblico che la sua non è una ricerca attiva dei luoghi da fotografare, ma piuttosto una ricerca passiva. L’artista ama perdersi durante un viaggio, lascia che sia il luogo a trovare lui e per lasciarsi trovare non fa altro che mettersi pazientemente in ascolto, facendosi trovare “vuoto”, scevro da qualsiasi opinione. Solo così riesce a cogliere il passato, i desideri, le speranze di quei luoghi.  I luoghi cari a Wenders sono posti dimenticati, abbandonati, che esprimono la sofferenza del passato e la cui essenza è inconfondibile. Scopriamo con gioia che nell’immaginario di Wenders tra questi luoghi potrebbe rientrare Napoli, anche se in fondo, dentro di noi sapevamo che non poteva essere diversamente, visto che di sofferenza del passato e del presente la nostra amata città ne ha da vendere. Non solo Napoli è apparsa unica a Wenders, ma anche i napoletani gli sono apparsi come individui superstiti dotati ancora di quel primordiale senso del luogo, quello che nel passato serviva all’uomo per garantirsi la sopravvivenza attraverso la ricerca di un rifugio e di acqua e che nel presente serve al napoletano per garantirsi un parcheggio, una pizza e un posto al sole.

Il Wenders fotografo non ritrae persone, quanto piuttosto le tracce che queste hanno lasciato in ogni dove e ci insegna che spesso è il luogo stesso a raccontare la sua storia, basta aspettare un po’, a volte solo qualche ora o altre anche tre giorni, come è accaduto per la foto della ruota panoramica. Questa foto, ammette Wenders,  l’ha fatto penare un po’, i primi due giorni infatti,  la scena o meglio l’obiettivo era stata rubato rispettivamente da alcuni bambini che vi giocavano sotto e in seguito da un “cow-boy armeno” e dal suo gregge pecore. Solo il terzo giorno l’artista è riuscito a dialogare in beata solitudine con la ruota, che finalmente ha  raccontato la sua storia, racconto che tutti possiamo immaginare con i nostri occhi attraverso lo scatto. Alla luce di questo ci viene semplice capire perché il fotografo Wenders preferisca scattare in analogico, senza cedere all’ammiccante digitale. Certo, c’è il rischio che la foto non goda dell’esposizione migliore, che non soddisfi le aspettative del fotografo o che non riesca del tutto, ma non è forse più mortificante spezzare la magia di un racconto per guardare vigliaccamente lo schermo di una digitale?

Scavando a fondo, riusciamo pure a scoprire una debolezza d’animo dell’artista, o meglio una debolezza “d’orecchio”: la cedevolezza da cui viene colto al cospetto di nomi conturbanti, al cui suono non può resistere. Ed ecco che in uno dei suoi viaggi Wenders decide di fare una lunga deviazione pur di visitare il paesino di Truth or Consequences (l’equivalente italiano sarebbe “Obbligo o Verità), anche se quest’ultimo in seguito si manifesta alquanto deludente, ma si sa, alle tentazioni non si può resistere e ognuno ha le sue.

Speriamo che presto Wenders possa tornare a visitare Napoli, in veste di fotografo, di regista, di innamorato o anche di semplice turista.  Le prime due vesti ci spiaciucchierebbero un pochinino in più per contrastare una certa penuria di lavoro che contraddistingue la zona, ma saremo felici di accogliere Wim (oramai siamo in confidenza) in ogni salsa. Noi napoletani lo aspettiamo a braccia aperte e per invogliarlo a tornare sussurriamo dolcemente al suo orecchio: “Vico Fico”, “Vico Scassacocchi”, “Salita Paradiso”, “Via Donnalbina”, “Vico Trucco” e se ancora non bastasse ci giochiamo pure “Via dei Chiavettieri”!

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