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Pandemia e disturbi psicologici, gli effetti del covid sulle persone

di Anna Maria Di Nunzio

Socialità azzerata, isolamento, solitudine, schermi di cellulari e PC che sostituiscono il calore del contatto umano, la lontananza dai nostri affetti. Queste sono solo alcune delle conseguenze che il covid-19 ha causato, andando a minare un sistema sociale dalle basi già fragili, indebolite dalla crisi di valori iniziata con l’avvento del XXI secolo. In un mondo già impregnato di incertezze e instabilità, dove lavoro e denaro non sono più mezzi, ma fini, scopi; in un’era digitale in cui sentimenti e relazioni hanno iniziato a basarsi su una foto postata su Instagram ed una citazione a caso rubata dai più grandi poeti del passato; in un presente che considera reale e concreto solo ciò che viene legittimato dal consenso di sconosciuti, ciò che viene reso noto, pubblico, la pandemia ha spezzato non solo vite, ma anche l’essere. Tuttavia, ciò non è opera inedita del virus. La scissione tra realtà e virtualità era già stata ricucita da tempo. La frenesia, la necessità di accumulare quanti più oggetti possibili, di ritrovarsi sempre con un surplus di capitale in banca, caratterizza gli uomini da decenni ormai. La trasformazione dei beni di consumo in manifestazione dello status sociale di ognuno si è conclusa tempo fa. E non a caso, forse, dati statistici e ricerche effettuate da numerosi psicologi e sociologi mettono in evidenza che, dai primi mesi del 2020 ad oggi, si è registrata una crescita esponenziale preoccupante del numero di persone affette da disagi e disturbi psicologici.

Il 25 novembre in Germania sono stati pubblicati i risultati preliminari di un’indagine sugli effetti psicosociali della pandemia condotta dall’Helmholtz Zentrum di Monaco su 113mila persone, una delle ricerche più vaste compiute nel mondo finora sul tema. La ricerca era in corso già prima del 2014 e quindi permette di confrontare le condizioni di salute della popolazione con quelle del passato. Dallo studio emerge che i livelli di stress sono aumentati in tutta la popolazione e in tutte le fasce di età.

<< La maggior parte dei pazienti ci racconta che gli sembra che la vita abbia perso di significato, fa fatica a trovare un senso, a progettare il futuro, in una situazione in cui tutto sembra più precario e imprevedibile >>, riporta Damiano Rizzi, psicologo clinico della Fondazione Soleterre. Rizzi ha lanciato una rete formata da 570 psicologi in tutta Italia per l’assistenza psicologica attraverso un centralino, nella speranza di contenere il problema.

Secondo uno studio britannico pubblicato su The Lancet Psychiatry la pandemia ha anche acuito le differenze negli stili di vita delle persone. In particolare si sono approfondite le difficoltà delle donne e dei giovani, una parte della popolazione già in affanno. << Mentre l’infezione da covid-19 è un rischio maggiore per la salute delle persone anziane, il nostro studio suggerisce che la salute mentale dei giovani è stata colpita di più dalle misure adottare per contrastare l’epidemia >>, afferma il dottor Rizzi al riguardo. Ma se l’arrivo inaspettato dell’epidemia del nuovo coronavirus ha interrotto la quotidianità, ha costretto all’isolamento e alla convivenza forzata in spazi ristretti, per molti ha coinciso con l’esperienza diretta della malattia e del lutto, è tuttavia la seconda ondata quella che sta mettendo più alla prova la maggior parte delle persone dal punto di vista psicologico.

<< Nella prima ondata si è affrontata l’emergenza con la speranza che se ne potesse uscire nel giro di qualche settimana o mese, nella seconda ondata c’è un tratto di cronicizzazione del trauma. I sintomi dell’angoscia, della tristezza e della depressione si sono aggravati in molte persone >> spiega Maria Silvana Patti, psicologa e responsabile dell’unità di terapia post-traumatica dell’Associazione per la ricerca in psicologia clinica (Arp) di Milano. << Manca la possibilità di prevedere e di progettare, due caratteristiche che alimentano la speranza negli esseri umani. Questo aspetto è appesantito dall’assenza di una comunicazione chiara sulla malattia al livello pubblico. Le persone si sentono in un limbo senza fine >>, aggiunge.

Per la psicologa, in questo momento gli individui fanno fatica anche ad associare la loro situazione di sofferenza alle condizioni generali prodotte dalla pandemia. << In parte questo è frutto di una finta normalità alla quale siamo tornati, anche se lavoriamo o facciamo le nostre attività, la situazione non è tornata come prima dell’epidemia >>, spiega. Per questo molti non riescono a dormire, c’è chi non può disconnettersi dal lavoro, chi stenta a uscire di casa, chi ha sviluppato delle vere e proprie fobie, chi non vuole tornare al lavoro, coppie che sono entrate in crisi, chi riporta una stanchezza diffusa che rallenta qualsiasi attività, chi fa fatica a concentrasi, chi ha delle crisi di rabbia. E poi ci sono i sintomi più gravi: la depressione, l’ansia o la dipendenza da alcol e altre sostanze. Per quelli che hanno vissuto in prima persona la perdita di una persona cara o che sono sopravvissuti al covid, i sintomi sono ancora peggiori.

Nonostante questi dati e risultati empiricamente e quantitativamente validi, ad oggi risulta difficile tuttavia credere che il termine a quo della crisi dell’essere sia da ascrivere esclusivamente all’inizio della pandemia. Febbre spagnola, Ebola, Colera, Aids. La storia dell’umanità è piena di eventi simili, con l’aggravante che nei secoli scorsi gli sviluppi tecnologici e la ricerca scientifica erano molto più arretrati, la divisione della popolazione in classi molto più netta e rigida, possibilità di movimento sociale pari a zero. Eppure, non si è mai riscontrato un incremento del tasso di suicidi pari al 79%; i giovani riuscirono a sopravvivere, riprendersi, resistere. Probabilmente, se oggi la situazione è al limite del catastrofico, è perché il covid, con le conseguenti misure di sicurezza e di contenimento, ha infettato una società già malata. Moralmente, interiormente, emotivamente. << Come ogni situazione estrema, una malattia porta alla luce quanto di meglio e di peggio c’è in ciascun individuo >>, Susan Sontag, Malattia come metafora.

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