Montefibre di Acerra, la fabbrica killer
NAPOLI (di Maurizio Scialdone) – E’ dal 2004 che le ciminiere della grande fabbrica Montedison, la Montefibre di Acerra, sono spente, eppure gli effetti devastanti dell’attività dell’impianto sono ancora visibili nelle campagne dei dintorni e non solo.
In quello stabilimento si producevano poliesteri. Il primo impianto fu costruito in a Casoria, spostato poi intorno agli anni ’80 ad Acerra a causa dell’obsolescenza del primo. La Montefibre, stando ai racconti degli operai che vi lavoravano, è stata causa di più disastri: dalle morti bianche al disastro ambientale. Oltre 300 operai hanno perso la vita. Di questi 300 almeno 88 accertati a causa dell’amianto respirato all’interno del reparto chimico, quello in cui venivano prodotti i famigerati “chips”. Miscele di polveri e solventi rendevano liquido il composto ad alte temperature. Il composto una volta miscelato veniva restituito in “plastica dura” a temperature molto più basse sotto forma di “fili” o fiocchi, chiamati appunto chips, che servivano poi alla produzione di vari oggetti.
Il mantenimento dell’alta temperatura veniva garantita da una coibentazione in amianto, che con il tempo usurandosi, rilasciava polveri che gli operai inconsapevolmente respiravano. L’amianto era presente ovunque in quello stabilimento.
Un operaio raccontò che ““Il mio reparto era pieno di polvere, una volta ho chiesto ad un tecnico venuto a controllare e questi mi consigliò di bagnare a terra in modo da non far smuovere la polvere, meglio umido che a contatto con quelle polveri che respiravo”. Spesso si verificavano anche errori umani, “si riempiva un serbatoio e fuoriusciva liquido che andava nelle fogne, quello si che inquinava, ed era una cosa ricorrente”.
Gli scarti di lavorazione, invece, finivano in fusti del cui smaltimento cominciò ad occuparsene una ditta di Casal di Principe, il cui titolare aveva cominciato a lavorare in Montefibre come impresa di pulizie. Evidentemente anche lo smaltimento illegale o presunto tale di quei fusti non risultò cosa semplice dal momento che da un certo punto in poi i fusti provenienti dalla fabbrica furono stoccati su una piastra di cemento all’interno dello stabilimento stesso. Molti di quei fusti sono ancora lì, corrosi da ruggine ed agenti chimici, con i loro percolati.
In un film straordinario, ma di impatto violentissimo, “biutiful cauntri”, alcuni agricoltori della zona, quelli con i campi confinanti con i terreni dell’impianto, raccontano che quando suonava la “sirena” tutti loro erano costretti a scappare via, il più veloce possibile ed allontanarsi dalle recinzioni. Nessuno di loro sapeva cosa accadeva, ma sapevano che serviva a poco, perché comunque le polveri “spazzate” via finivano sui loro campi e su quelli nel raggio di 20 km.
La Montefibre è stata coinvolta in diversi processi, dai quali è sempre uscita più o meno bene. Il processo per l’impianto di Acerra ha lasciato davvero l’amaro in bocca. Nel luglio 2012, di tutti i casi di morte per tumore dovuta al contatto con sostanze cancerogene, sono state riconosciute solo le morti “da amianto”. Solo quegli “88”. E neanche quelli, alla fine, sono bastati per avere un colpevole. Tra tutte le morti, solo una viene riconosciuta come “omicidio colposo”. Condanna di un anno e 8 mesi e tutti a casa. Tranne gli oltre 300 operai. Quelli no.