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Il settore turistico rischia il default, Iaccarino: «Rischiano aree che vivono di una stagionalità turistica più marcata»

di Anna Maria Di Nunzio

Che l’emergenza sanitaria da Coronavirus abbia cambiato, e stia continuando a cambiare ormai a cadenza regolare di ogni quindici giorni le nostre vite, è un dato di fatto. Si aspetta l’annuncio dell’ennesimo DPCM da parte del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte quasi come si attende l’esito di un esame medico. Ogni fine settimana non si sa bene cosa chiuderà, cosa potrà restare aperto e fino a che ora si potrà passeggiare liberamente per le vie della propria città, se non in altre. Sì, perché in tutto questo caos e fra le numerose proteste che ne derivano, sta sfuggendo di vista un settore che per l’Italia in generale, e per regioni come la Campania in particolare, è ninfa vitale: il turismo.

I numeri parlano chiaro: nei primi otto mesi del 2020, l’emergenza sanitaria avrebbe già bruciato ben 173,5 milioni di presenze e oltre 48 milioni di arrivi con una contrazione rispettivamente del 52,5% e del 51,1% rispetto allo stesso periodo del 2019. In picchiata anche gli incassi comunali dell’imposta di soggiorno: oltre 211 milioni di euro. È quanto emerge da una stima a consuntivo dell’Istituto Demoskopika sulla base degli incassi dell’imposta di soggiorno rilevati dal sistema Siope incrociati coi dati dell’Istat sui movimenti turistici regionali relativi all’anno precedete e con i dati sul turismo internazionale della Banca d’Italia. Una situazione, insomma, tutt’altro che rassicurante se si considera che il settore turistico genera direttamente più del 5% del PIL Nazionale (il 13% considerando anche il PIL generato indirettamente) e rappresenta oltre il 6% degli occupati. Nella prima fase di consuntivo della stagione turistica 2020, l’emergenza da Coronavirus avrebbe generato una contrazione della spesa turistica di ben 16.059 milioni di euro, pari a circa il 6,9% del PIL settoriale italiano. Sinteticamente, una catastrofe.

L’analisi per livello regionale colloca poi, nella sua dimensione numerica assoluta, il Veneto in testa con un decremento stimato della spesa turistica pari a 3.272 milioni di euro. Seguono, con sforbiciate rilevanti e preoccupanti dei consumi in “viaggi e vacanze”, Toscana (2.130 milioni di euro); Lombardia (1.784 milioni di euro); Emilia-Romagna (1.609 milioni di euro); Lazio (1.513 milioni di euro) e Trentino Alto Adige (1.165 milioni di euro).

La contrazione del consumo totale di beni e servizi da parte del viaggiatore (alloggio, pasti, intrattenimento, souvenir, regali, articoli per uso personale e così via) si sarebbe avvertita in maniera significativa anche in altre cinque destinazioni regionali: Campania (710 milioni di euro); Liguria (668 milioni di euro); Sicilia (539 milioni di euro); Piemonte (469 milioni di euro) e Sardegna (468 milioni di euro). Non che le altre regioni se la passino meglio, ovviamente. Tutte si trovano al di sotto della “soglia psicologica” dei 400 milioni di euro.

<< A rischiare di più sono le aree che vivono di una stagionalità più marcata. – Conferma Costanzo Iaccarino, presidente di Federalberghi Campania – Ed è per questo che i protocolli a cui attenerci per salvare il salvabile saranno fondamentali: bisogna capire quando ma soprattutto come sarà possibile aprire. E ancor di più se ci saranno clienti, e che tipo di clienti saranno: basterà il cosiddetto turismo di prossimità per non affondare? >>. Quel che si percepisce è una malcelata voglia di ripartire, comunque, e non tutto sembra perduto. Ma il tempo stringe, inesorabile. Le lancette ticchettano e non faranno sconti a nessuno. Una volta aperti i battenti, ogni giorno che passa senza turisti è un giorno perso, << perché chi fa turismo non è una fabbrica che mette in produzione frigoriferi e può tenerli in deposito >>, ricorda Corrado Matera, assessore regionale al turismo. L’equazione è semplice: zero persone, zero incassi, zero stipendi.

I dati seguono pari passo l’andamento, positivo o negativo che sia, della situazione sanitaria: il 2020 era iniziato con un aumento delle presenze a gennaio rispetto all’anno precedente (+3,8% per gli stranieri e +4,8% per gli italiani). A febbraio si è registrato un lieve calo che a marzo ha raggiunto, prevedibilmente, percentuali molto alte: il 92,3% degli stranieri e l’85,9% per gli italiani. Ad aprile e a maggio, invece, il mercato si è completamente fermato (nell’insieme -97,8% e -94,8%). Oggi, infine, si cerca di risalire dalle macerie del disastro economico che l’estate si è portata appresso, invano.

Insomma, questo virus non si sta limitando a distruggere gli organismi, ma interi Sistemi ed Istituzioni statali. Sta penetrando nelle strade del nostro Paese intaccandone i meccanismi più importanti, proprio come fa coi polmoni degli anziani. Solo che non ci saranno mascherine e tubi per un’Italia già acciaccata. Nessuna terapia intensiva di ultima generazione potrà salvarla. E se tuttavia è vero, come affermano numerosi e acclamati medici e virologi, che sintomi ed effetti sono più gravi e permanenti solo nei soggetti già di base deboli o affetti da complicazioni, due domande il Governo dovrebbe porsele.

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