Notizie dall'Italia e dal mondo

Cronaca

15 gennaio 2014, 21 anni dopo la cattura di Totò Riina

NAPOLI (di Maurizio Scialdone) – 21 anni fa, il 15 gennaio del 1993 veniva assicurato alla giustizia Salvatore Riina, detto Totò U’ curtu, capo indiscusso della Cosa Nostra corleonese. Dietro quella cattura però si nascondono ancora oggi molti interrogativi. Le minacce che Riina ha rivolto, nel mese di dicembre 2013, dal carcere di Opera a Milano al pm Di Matteo lasciano intendere che c’è ancora qualcosa che Riina “sente” di poter fare.

Da quando il capitano Ultimo lo prelevò a Palermo nei pressi della sua abitazione (sic…), grazie alla collaborazione del suo ex autista Balduccio di Maggio, ancora molti interrogativi restano avvolti in uno strano silenzio. Uno di quei silenzi fatti di ciò che tutti sanno, ma che rimanendo nel campo delle ipotesi non costituiscono una prova.

Totò Riina
Totò Riina

La cattura di Riina poteva essere, e certamente lo è stata, una grande vittoria per lo Stato italiano, così come quella di Bernardo Provenzano (zù Binnu) e Giovanni Brusca, ma quello che è emerso successivamente lascia l’amaro in bocca. Oltre alle vite di Falcone e Borsellino, allo Stato quella cattura è costata ancora molto altro. E’ costata (almeno ipoteticamente) una sottomissione incondizionata al famoso “papello” che non fu ritrovato in casa di Riina perchè qualcuno (il generale Mori, nella fattispecie) non ne ordinò la perquisizione immediata, se non una settimana dopo la cattura, quando intanto la villa di Riina era stata svuotata. La repentina sostituzione dell’allora ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli (“dimissionato” a causa delle incriminazioni che lo coinvolgevano nell’inchiesta di Tangentopoli) consentì al suo successore Giovanni Conso, l’anno successivo, di non confermare oltre 300 destinatari di articolo 41 bis, articolo fortemente voluto da Falcone e da Martelli, con conseguente alleggerimento della pena detentiva, che guarda caso era uno dei punti essenziali del “papello” di Riina.  Nel 1996 cominciò anche la revisione della legge sui pentiti “perchè –  si diceva – i pentiti sono troppi, oltre 1200”  (strano che ci si soffermasse sul numero dei pentiti e non quello degli uomini affiliati alla mafia).

Dopo le stragi di Capaci e di via d’Amelio, la mafia colpì nello stesso giorno, 26 luglio 1993, con gli attentati di San Giovanni in Laterano (l’allora presidente del senato era “Giovanni” Spadolini) e San Giorgio al Velabro (il presidente della Camera era “Giorgio” Napolitano). Erano avvertimenti? Sta di fatto che dopo i due attentati la stagione stragista della mafia ebbe un improvviso arresto.

21 anni dopo la giustizia fa ancora il suo corso,  il pool di Palermo intanto viene scomposto e ricomposto come il cubo di Rubrik ed a nessuno ancora è dato di sapere la verità “ufficiale”.  E nel bailamme generale c’è anche chi sostiene che la Trattativa Stato-mafia sia solo un esercizio di fantasia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.