Ucraina-Russia, riprendono i negoziati a Istanbul: clima teso, assenti Putin e Zelensky
I negoziati tra Russia e Ucraina sono ufficialmente ripresi oggi a Istanbul, dopo un’interruzione durata più di due anni. L’ultima volta che le due delegazioni si erano incontrate per discutere di pace era nella primavera del 2022. Tuttavia, anche questa nuova tornata di colloqui si apre sotto il segno della tensione e della sfiducia reciproca.
L’incontro, previsto per le ore 9 italiane a Palazzo Dolmabahce, si svolge senza la presenza dei due leader, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, assenze che molti osservatori internazionali giudicano come un segnale negativo sulla reale volontà di porre fine al conflitto. A guidare le rispettive delegazioni ci sono invece figure chiave dei due apparati statali. La Russia è rappresentata da Vladimir Medinsky, consigliere del Cremlino, dal viceministro degli Esteri Mikhail Galuzin, dal viceministro della Difesa Aleksandr Fomin e dall’ammiraglio Igor Kostyukov, capo dell’intelligence militare GRU. Per l’Ucraina partecipano il ministro degli Esteri Andreii Sybiha, il ministro della Difesa Rustem Umerov e il capo dell’Ufficio presidenziale Andrij Yermak. Prima dell’incontro trilaterale previsto alle 11.30 tra Russia, Ucraina e Turchia, si è tenuta anche una riunione a tre tra Turchia, USA e Ucraina, segno del forte coinvolgimento diplomatico degli Stati Uniti. A rappresentare Washington c’è il segretario di Stato Marco Rubio.
Il clima attorno ai negoziati è apparso subito incandescente. La delegazione di Kiev ha definito i colloqui una “farsa”, accusando Mosca di voler solo guadagnare tempo. Dura la replica russa, con attacchi personali a Zelensky, definito “una persona penosa”. Sullo sfondo, resta l’assenza del dialogo diretto tra i due presidenti: Zelensky, parlando da Ankara, ha criticato la mancata presenza di Putin, affermando che un incontro faccia a faccia “avrebbe potuto produrre risultati concreti”.
Mentre a Istanbul si parla di pace, sul terreno la guerra non si ferma. Un attacco con droni russi ha colpito questa mattina il distretto Svjatosyn di Kiev, provocando incendi e forti esplosioni. Le autorità ucraine hanno rassicurato che le forze di difesa aerea sono intervenute prontamente, ma non si escludono danni significativi. Intanto, Petro Poroshenko, ex presidente ucraino, ha lanciato un chiaro messaggio a Mosca: “Se non c’è apertura ai negoziati, scatterà il piano B: assistenza militare illimitata all’Ucraina”. Le sue parole richiamano le condizioni dei vecchi accordi di Minsk: sovranità nazionale, integrità territoriale e adesione a UE e NATO. Sul fronte diplomatico, anche il Vaticano esprime preoccupazione. Il cardinale Pietro Parolin ha parlato di “una situazione drammatica”, ammettendo che le speranze in un processo di pace concreto sono ancora molto fragili. Dall’altra parte dell’Atlantico, il segretario di Stato USA Marco Rubio ha chiarito che non ci saranno reali progressi senza un confronto diretto tra Trump e Putin. L’ex presidente americano, intanto, ha commentato l’evento con un secco “Tutto fermo se non vedo Putin”.
Il consigliere di Zelensky, Vladyslav Vlasiuk, rilancia invece la necessità di nuove sanzioni contro la Russia, puntando il dito anche contro la Cina per il presunto invio di componenti tecnologiche utilizzate nei missili russi. “Pechino può e deve fare di più”, ha affermato.
L’incontro, previsto per le ore 9 italiane a Palazzo Dolmabahce, si svolge senza la presenza dei due leader, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, assenze che molti osservatori internazionali giudicano come un segnale negativo sulla reale volontà di porre fine al conflitto. A guidare le rispettive delegazioni ci sono invece figure chiave dei due apparati statali. La Russia è rappresentata da Vladimir Medinsky, consigliere del Cremlino, dal viceministro degli Esteri Mikhail Galuzin, dal viceministro della Difesa Aleksandr Fomin e dall’ammiraglio Igor Kostyukov, capo dell’intelligence militare GRU. Per l’Ucraina partecipano il ministro degli Esteri Andreii Sybiha, il ministro della Difesa Rustem Umerov e il capo dell’Ufficio presidenziale Andrij Yermak. Prima dell’incontro trilaterale previsto alle 11.30 tra Russia, Ucraina e Turchia, si è tenuta anche una riunione a tre tra Turchia, USA e Ucraina, segno del forte coinvolgimento diplomatico degli Stati Uniti. A rappresentare Washington c’è il segretario di Stato Marco Rubio.
Il clima attorno ai negoziati è apparso subito incandescente. La delegazione di Kiev ha definito i colloqui una “farsa”, accusando Mosca di voler solo guadagnare tempo. Dura la replica russa, con attacchi personali a Zelensky, definito “una persona penosa”. Sullo sfondo, resta l’assenza del dialogo diretto tra i due presidenti: Zelensky, parlando da Ankara, ha criticato la mancata presenza di Putin, affermando che un incontro faccia a faccia “avrebbe potuto produrre risultati concreti”.
Mentre a Istanbul si parla di pace, sul terreno la guerra non si ferma. Un attacco con droni russi ha colpito questa mattina il distretto Svjatosyn di Kiev, provocando incendi e forti esplosioni. Le autorità ucraine hanno rassicurato che le forze di difesa aerea sono intervenute prontamente, ma non si escludono danni significativi. Intanto, Petro Poroshenko, ex presidente ucraino, ha lanciato un chiaro messaggio a Mosca: “Se non c’è apertura ai negoziati, scatterà il piano B: assistenza militare illimitata all’Ucraina”. Le sue parole richiamano le condizioni dei vecchi accordi di Minsk: sovranità nazionale, integrità territoriale e adesione a UE e NATO. Sul fronte diplomatico, anche il Vaticano esprime preoccupazione. Il cardinale Pietro Parolin ha parlato di “una situazione drammatica”, ammettendo che le speranze in un processo di pace concreto sono ancora molto fragili. Dall’altra parte dell’Atlantico, il segretario di Stato USA Marco Rubio ha chiarito che non ci saranno reali progressi senza un confronto diretto tra Trump e Putin. L’ex presidente americano, intanto, ha commentato l’evento con un secco “Tutto fermo se non vedo Putin”.
Il consigliere di Zelensky, Vladyslav Vlasiuk, rilancia invece la necessità di nuove sanzioni contro la Russia, puntando il dito anche contro la Cina per il presunto invio di componenti tecnologiche utilizzate nei missili russi. “Pechino può e deve fare di più”, ha affermato.