Svolta centrista e ribaltone Lega per Berlusconi l’incubo del 1994
ROMA (di Massimo Giannini)- E’ il giorno della tenaglia. Da una parte le istituzioni, dal Quirinale alla Chiesa, che attaccano Berlusconi sullo scandalo Ruby. Dall’altra le opposizioni, dal Pd al Terzo Polo, che lo assediano sul federalismo. Stretto in questa morsa, il Cavaliere cerca una disperata resistenza. Ma mentre sembra voler reggere a tutti i costi l’urto giudiziario dell’inchiesta della procura di Milano sul suo impeachment sessuale, per il premier potrebbe rivelarsi persino più difficile reggere l’urto politico di uno stop alla riforma federale. Al prezzo di un’ulteriore torsione del nostro sistema democratico e dell’ennesima distorsione della verità dei fatti, il presidente del Consiglio può tentare di respingere le accuse dei pm. Quello che non può fare, è impedire all’unico alleato che ancora lo sostiene, cioè Umberto Bossi, di staccare la spina al governo se dovessero saltare i due decreti delegati attuativi del federalismo, all’esame delle commissioni parlamentari.
È l’incubo del ’94, che allora travolse il primo governo del Cavaliere, quando la Lega ruppe sulle pensioni, e spianò la strada al governo “tecnico” di Lamberto Dini, cioè al famoso “ribaltone”. Ieri questo incubo ha ripreso corpo, quasi all’improvviso, quando l’Associazione nazionale dei Comuni italiani da una parte, il Polo della Nazione dall’altra, hanno annunciato il no al pacchetto federalista assemblato da Tremonti e Calderoli. Una mossa a sorpresa, che a Palazzo Chigi nessuno si aspettava. “Sembrava tutto a posto -diceva nel pomeriggio un ministro – il testo era stato concordato punto per punto con l’Anci, e mercoledì sera erano arrivate persino sollecitazioni dal Colle ad approvare in fretta i decreti. Poi tutto è cambiato, e non capiamo ancora il perché…”.
Ma in attesa di capire cosa stesse accadendo, la mossa congiunta dei sindaci e dei centristi ha fatto temere al premier che, proprio sul federalismo, si fosse rinsaldato l’asse che punta a farlo cadere subito, ad evitare le elezioni anticipate e a far nascere un altro governo, magari guidato proprio dal superministro dell’Economia, con l’ovvio sostegno del Carroccio. Uno scenario da 1994, appunto. Con Tremonti al posto di Dini. E con una nuova maggioranza sostenuta dalla Lega di Bossi, dal Terzo Polo di Fini e Casini, dal Pd di Bersani e persino dall’Idv di Di Pietro. Fanta-politica? Può darsi. Forse anche fanta-matematica, visto che stiamo parlando di un’equazione da almeno una decina di incognite. Ma la preoccupazione del Cavaliere è fortissima. Anche per questo, ieri sera, ha voluto incontrare a Palazzo Grazioli prima Tremonti, poi Calderoli. Per avere chiarimenti su quanto sta accadendo sul federalismo. E per avere ancora una volta garanzie sulla “fedeltà” del suo ministro. Come lo stesso “amico Giulio” ha spiegato a un Silvio sempre più diffidente, il federalismo ha ora due nodi.
Il primo nodo è di natura “tecnica”. Lo ha sollevato l’Anci, ed è un nodo complesso, anche se forse non inestricabile. Lo ha illustrato Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e presidente dell’Anci, al telefono con lo stesso Tremonti: “Caro Giulio, voi avete drasticamente peggiorato il testo. Noi non possiamo accettare che a regime la nuova aliquota dell’Imu sia determinata attraverso la Legge di Stabilità. Se le cose stanno così, per il 2011 almeno la quota Irpef e l’imposta di soggiorno devono restare di competenza dei Comuni, altrimenti noi non possiamo neanche chiudere i bilanci. E se c’è un tributo la cui aliquota è fissata anno per anno dal governo, noi saremo costretti ogni volta a venire a Roma con il cappello in mano. E questo per noi è inaccettabile”. Per questo, come ha annunciato Calderoli e poi ha confermato Bossi, il governo concederà una proroga sui tempi di approvazione del decreto sul federalismo municipale. “Siamo pronti a venire incontro alle esigenze dei sindaci – è il ragionamento di Tremonti – e quanto meno sul piano della tempistica siamo d’accordo a concedere un margine per una riflessione ulteriore”. Gli enti locali, per ora, incassano questa disponibilità: “Vedremo se ci ascolteranno – aggiunge Chiamparino – perché per noi la questione, benché tecnica, è dirimente. Se i decreti non cambiano, saltano i bilanci dei Comuni. Questo non è federalismo, è un suicidio”.
Il secondo nodo è invece di natura politica. Ed appare più insidioso e ingarbugliato. Nasce dalla sterzata del Terzo Polo, che ha deciso di mettersi di traverso e di esprimere parere contrario, se non saranno recepite le modifiche richieste ai decreti. “Perché Casini e Fini hanno deciso all’improvviso di cavalcare il no al federalismo, insieme alle opposizioni?”, si chiedeva ieri sera Berlusconi, nel vertice con Calderoli e Tremonti. “Dobbiamo ragionare sulle mosse del Terzo Polo, altro che crogiolarsi sull’appoggio della Terza Gamba”, è l’opinione dei ministri. E la strategia dei centristi ha in effetti cambiato in pochi giorni il quadro politico: “Prima sono passati dal Patto di pacificazione alle elezioni anticipate. Ora dicono no al federalismo, radicalizzano lo scontro e si ricompattano almeno su questo con il Pd. Tutto questo come si spiega, se non con il tentativo di dividere Berlusconi da Bossi, e magari di profilare alla Lega un patto implicito sul dopo-Berlusconi?”. Questa era la domanda che circolava ieri sera tra i ministri forzaleghisti.
Allo stato attuale, con questo scarto terzopolista e con il passaggio di Mario Baldassarri all’opposizione, la maggioranza rischia di non avere i numeri per far passare i decreti delegati in Commissione Bicamerale. Sicuramente non li ha in Commissione Bilancio. Questo, per Bossi, è un campanello d’allarme. E per questo il Senatur si dichiara disponibile a trattare, ma a questo punto non si può più precludere altre soluzioni. Ripete che “se salta il federalismo si va a votare”. Ma può essere tentato di aprire una trattativa con l’opposizione. “Umberto sarà leale fino all’ultimo minuto con Berlusconi – ripete un ministro che lo conosce meglio di chiunque altro – ma se vede che il federalismo è a rischio ci mette un minuto ad allargare gli orizzonti. E poi, per lui, il fascino degli amministratori comunisti è sempre forte…”.
Al di là delle battute sui “comunisti”, quanto è realistica l’ipotesi che si apra un dialogo tra Lega da una parte, Pd e Terzo Polo dall’altra, e che il federalismo diventi la merce di scambio per chiudere una volta per tutte la stagione berlusconiana? La suggestione c’è. Ma c’è anche la preoccupazione. Sul versante del centro, almeno allo stato attuale, i finiani hanno giurato che non farebbero mai patti di maggioranza o cartelli elettorali con il Pd. La stessa cosa hanno assicurato i casiniani, che non reggono accordi con un’opposizione allargata a Vendola e Di Pietro. Sul versante della sinistra, il Pd non sa se fidarsi né della Lega, né del Terzo Polo. “Io – riflette il leader Pierluigi Bersani – sono pronto ad offrire a Bossi la garanzia che oggi il Cavaliere non è in grado di dargli, cioè l’attuazione del federalismo, ma al momento mi pare che i due siano legati da un patto di sangue praticamente inossidabile”. La stessa cosa vale per Casini e Fini: “Gli ho fatto la mia proposta di Alleanza costituzionale, più di quella non so che possiamo fare. Ora sta a loro fare un passo concreto, e non limitarsi più agli anatemi contro il Cavaliere”.
Lo stesso ragionamento lo fa il capogruppo Dario Franceschini: “La Lega, come anche il Terzo Polo, sa bene che noi siamo pronti a tutto, pur di mettere fuori gioco Berlusconi. La stessa cosa la sa anche Tremonti. Il problema è che sia al centro che a destra tutti ripetono che è finita e che così non si va avanti, ma tutti aspettano chissà quale intervento divino, che faccia accadere il miracolo. Invece il miracolo va costruito, non solo evocato…”. E per adesso è proprio questo che manca. La costruzione del “miracolo”. Ma una cosa è certa: se c’è un “cantiere” possibile, questo è proprio il federalismo. (Repubblica)