Spagna dice no all’aumento delle spese militari al 5% del Pil: tensione in vista del vertice Nato
Spagna dice no all’aumento delle spese militari
A pochi giorni dal vertice NATO del 24-25 giugno all’Aja, la Spagna ha annunciato ufficialmente che non accetterà la proposta – spinta soprattutto dagli Stati Uniti di Donald Trump – di portare la spesa militare al 5% del PIL nei prossimi anni. A comunicarlo è stato il primo ministro Pedro Sánchez in una lettera indirizzata al segretario generale della NATO, l’olandese Mark Rutte.
Sánchez ha definito l’obiettivo “irragionevole” e “controproducente”, sostenendo che per raggiungerlo sarebbe necessario aumentare le tasse sulla classe media o effettuare pesanti tagli al welfare, ai servizi pubblici e agli investimenti nella transizione ecologica. “Sarebbe incompatibile con il nostro Stato sociale e la nostra visione del mondo”, ha scritto il premier, aggiungendo che la Spagna, in quanto “alleato sovrano”, sceglie di non fare questo tipo di sacrifici.
Attualmente, la spesa militare spagnola si attesta all’1,3% del PIL, la più bassa tra i 32 membri dell’Alleanza Atlantica. Sebbene Sánchez si sia impegnato a raggiungere il 2% entro il 2024, con un obiettivo finale del 2,1%, ritiene che un salto fino al 5% non solo non sia necessario per rispettare gli impegni con la NATO, ma sia addirittura dannoso. “Non ha nulla a che vedere con il livello di impegno nella difesa collettiva”, ha affermato, sottolineando che ciascun Paese deve poter calibrare la propria spesa in base alle proprie esigenze e possibilità. Secondo il primo ministro, l’obiettivo comune dovrebbe essere invece la crescita economica sostenibile, che permetta un aumento graduale e reale delle risorse destinate alla difesa, senza compromettere la coesione sociale o lo sviluppo verde.
Ma dietro alla decisione ci sono anche ragioni di equilibrio politico interno. L’aumento già annunciato al 2% ha suscitato malumori all’interno della coalizione di governo, in particolare tra i partiti alla sinistra dei Socialisti. Un impegno a raggiungere il 5% sarebbe politicamente insostenibile, soprattutto mentre il governo Sánchez è alle prese con una crisi interna dovuta a scandali giudiziari che coinvolgono membri del suo partito. Il rifiuto della Spagna arriva in un momento delicato. Al vertice dell’Aja si punta a siglare un nuovo accordo che prevede una suddivisione della spesa militare in due voci: un 3,5% del PIL destinato alla “difesa di base” (armi, truppe, mezzi) e un ulteriore 1,5% per la “sicurezza allargata”, comprendente infrastrutture strategiche e difesa digitale. Tuttavia, affinché l’accordo venga adottato, è necessaria l’unanimità tra tutti i membri. La posizione di Madrid, quindi, potrebbe bloccare l’intero processo. E la Spagna non è l’unico Paese a nutrire dubbi: anche altre nazioni faticano a immaginare come raggiungere il 5% del PIL senza gravi conseguenze interne.
Per evitare un possibile fallimento del vertice, Sánchez ha proposto a Rutte una “formula più flessibile”, che renda il nuovo obiettivo facoltativo o consenta delle eccezioni, come l’esclusione della Spagna dall’impegno. Le trattative sono ancora in corso anche su un altro punto critico: i tempi per raggiungere il 5%. Inizialmente si parlava del 2030, ma ora si discute di posticipare la scadenza al 2035 o oltre.