Siria: I ribelli jihadisti conquistano Damasco, Assad fugge all’estero
Nella notte tra sabato 7 e domenica 8 dicembre, i ribelli jihadisti hanno preso il controllo della capitale siriana, Damasco, segnando una svolta drammatica nel conflitto che ha devastato il paese per oltre dieci anni. La notizia ha sconvolto il mondo intero, poiché il presidente Bashar al-Assad, che ha governato la Siria con mano ferrea, sarebbe già fuggito all’estero, ponendo fine a un regime che durava da oltre 50 anni. I ribelli hanno annunciato la caduta del regime attraverso un video trasmesso dalla tv pubblica siriana, dichiarando con entusiasmo che la Siria era “libera dalla tirannia dopo 50 anni”. In pochi minuti, le strade di Damasco si sono riempite di festeggiamenti da parte della popolazione che ha celebrato il crollo del governo di Assad, con bandiere e slogan di vittoria. La folla ha persino calpestato la statua abbattuta di Hafez al-Assad, padre di Bashar e dittatore della Siria dal 1971 fino alla sua morte nel 2000. La distruzione della statua ha simboleggiato il rifiuto della dinastia che ha dominato il paese per decenni.
Secondo fonti ufficiali, il primo ministro siriano, Ghazi al-Jalali, ha dichiarato di essere pronto a collaborare con la nuova leadership che verrà scelta dal popolo. In un’intervista rilasciata all’emittente Al Arabiya, al-Jalali ha confermato che la Siria terrà ora elezioni libere, affinché il popolo possa scegliere il proprio futuro leader. Questo segna una nuova era per il paese, in cui i cittadini, dopo anni di guerra e repressione, avranno finalmente la possibilità di partecipare a un processo politico democratico. L’esito della battaglia per Damasco rappresenta una fine simbolica per il regime di Assad, ma apre anche un capitolo incerto per il futuro della Siria. I ribelli, pur avendo preso il controllo della capitale, dovranno affrontare la sfida di un paese lacerato dalla guerra civile, con milioni di rifugiati e un’economia distrutta. Inoltre, le potenze internazionali, che hanno avuto un ruolo significativo nel conflitto siriano, potrebbero influire sulle prossime fasi di transizione politica. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha commentato l’accaduto sui social, sottolineando che “questa non è una battaglia americana”, indicando la natura della lotta come intrinsecamente legata agli interessi locali e regionali, piuttosto che a un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Questo riflette l’atteggiamento di Washington negli ultimi anni, che si è concentrata principalmente su altre priorità geopolitiche.
Secondo fonti ufficiali, il primo ministro siriano, Ghazi al-Jalali, ha dichiarato di essere pronto a collaborare con la nuova leadership che verrà scelta dal popolo. In un’intervista rilasciata all’emittente Al Arabiya, al-Jalali ha confermato che la Siria terrà ora elezioni libere, affinché il popolo possa scegliere il proprio futuro leader. Questo segna una nuova era per il paese, in cui i cittadini, dopo anni di guerra e repressione, avranno finalmente la possibilità di partecipare a un processo politico democratico. L’esito della battaglia per Damasco rappresenta una fine simbolica per il regime di Assad, ma apre anche un capitolo incerto per il futuro della Siria. I ribelli, pur avendo preso il controllo della capitale, dovranno affrontare la sfida di un paese lacerato dalla guerra civile, con milioni di rifugiati e un’economia distrutta. Inoltre, le potenze internazionali, che hanno avuto un ruolo significativo nel conflitto siriano, potrebbero influire sulle prossime fasi di transizione politica. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha commentato l’accaduto sui social, sottolineando che “questa non è una battaglia americana”, indicando la natura della lotta come intrinsecamente legata agli interessi locali e regionali, piuttosto che a un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Questo riflette l’atteggiamento di Washington negli ultimi anni, che si è concentrata principalmente su altre priorità geopolitiche.