Referendum 8-9 giugno: pochi informati, quorum a rischio
Manca meno di un mese al doppio appuntamento referendario dell’8 e 9 giugno, ma l’interesse dell’opinione pubblica e il livello di informazione restano bassi. Secondo un sondaggio condotto da Demos per *la Repubblica*, appena il 52% degli italiani si sente davvero informato sui cinque quesiti che riguardano cittadinanza e lavoro. Un ulteriore 39% sa dell’esistenza del referendum, ma non ne conosce i contenuti. E il 9% non sa nemmeno che si voterà.
Questo scenario preoccupa i promotori dei referendum, poiché il raggiungimento del quorum (50% + 1 degli aventi diritto al voto) è fondamentale per rendere valida la consultazione. Senza una partecipazione sufficiente, infatti, il risultato delle urne non avrebbe alcun effetto normativo, rendendo nullo anche l’eventuale successo del Sì. I referendum toccheranno due ambiti centrali per la società italiana: l’integrazione dei cittadini stranieri** e i diritti dei lavoratori.
Il quesito più noto, forse anche il più discusso, riguarda la riforma della cittadinanza: propone di ridurre da dieci a cinque anni il periodo minimo di residenza necessario per richiedere la cittadinanza italiana.
1. Ripristinare l’articolo 18** dello Statuto dei lavoratori nei casi di licenziamento senza giusta causa.
2. Aumentare i risarcimenti** per i lavoratori ingiustamente licenziati nelle piccole imprese.
3. Obbligare i datori di lavoro a motivare i contratti a termine fin dall’inizio, impedendo l’uso indiscriminato di contratti precari.
4. Rendere responsabili le aziende committenti nei cantieri, anche per gli incidenti e le condizioni di lavoro delle imprese subappaltatrici.
Le previsioni sull’affluenza non sono incoraggianti. Due sondaggi recenti, di Ipsos e Swg, concordano nel collocare l’intenzione di voto tra il 32% e il 38%, ben lontano dalla soglia necessaria. Il dato è particolarmente grave se si considera che, in una delle rilevazioni, il 38% degli intervistati ignorava persino l’esistenza del referendum.
A complicare ulteriormente la situazione è l’atteggiamento del governo e della televisione pubblica. Il centrodestra, che guida l’esecutivo, ha scelto apertamente la linea dell’**astensione strategica**, chiedendo ai propri elettori di **non partecipare** per far fallire il quorum. Persino il presidente del Senato, Ignazio La Russa, si è schierato per il non voto.
Nel frattempo, cresce la protesta per la **scarsa copertura informativa da parte della Rai**, accusata da opposizioni e sindacati di non garantire un’adeguata informazione su temi così rilevanti. La CGIL e le forze progressiste manifesteranno a Roma il 19 maggio proprio per chiedere più visibilità e trasparenza.
Il referendum dell’8 e 9 giugno non è soltanto una consultazione tecnica: rappresenta una sfida politica e democratica. Da una parte, si chiede un cambiamento su due fronti critici — inclusione e lavoro — con un impatto diretto sulla vita di milioni di persone. Dall’altra, si misura la capacità dei cittadini di esercitare il loro diritto di voto in un contesto di disinformazione e disaffezione politica. Con appena tre settimane a disposizione, il fronte del Sì dovrà correre contro il tempo per informare, mobilitare e convincere almeno un ulteriore 10-20% di elettori ad andare alle urne. Il rischio, altrimenti, è che i referendum falliscano non per il merito delle proposte, ma per il silenzio che li circonda.
Questo scenario preoccupa i promotori dei referendum, poiché il raggiungimento del quorum (50% + 1 degli aventi diritto al voto) è fondamentale per rendere valida la consultazione. Senza una partecipazione sufficiente, infatti, il risultato delle urne non avrebbe alcun effetto normativo, rendendo nullo anche l’eventuale successo del Sì. I referendum toccheranno due ambiti centrali per la società italiana: l’integrazione dei cittadini stranieri** e i diritti dei lavoratori.
Il quesito più noto, forse anche il più discusso, riguarda la riforma della cittadinanza: propone di ridurre da dieci a cinque anni il periodo minimo di residenza necessario per richiedere la cittadinanza italiana.
1. Ripristinare l’articolo 18** dello Statuto dei lavoratori nei casi di licenziamento senza giusta causa.
2. Aumentare i risarcimenti** per i lavoratori ingiustamente licenziati nelle piccole imprese.
3. Obbligare i datori di lavoro a motivare i contratti a termine fin dall’inizio, impedendo l’uso indiscriminato di contratti precari.
4. Rendere responsabili le aziende committenti nei cantieri, anche per gli incidenti e le condizioni di lavoro delle imprese subappaltatrici.
Le previsioni sull’affluenza non sono incoraggianti. Due sondaggi recenti, di Ipsos e Swg, concordano nel collocare l’intenzione di voto tra il 32% e il 38%, ben lontano dalla soglia necessaria. Il dato è particolarmente grave se si considera che, in una delle rilevazioni, il 38% degli intervistati ignorava persino l’esistenza del referendum.
A complicare ulteriormente la situazione è l’atteggiamento del governo e della televisione pubblica. Il centrodestra, che guida l’esecutivo, ha scelto apertamente la linea dell’**astensione strategica**, chiedendo ai propri elettori di **non partecipare** per far fallire il quorum. Persino il presidente del Senato, Ignazio La Russa, si è schierato per il non voto.
Nel frattempo, cresce la protesta per la **scarsa copertura informativa da parte della Rai**, accusata da opposizioni e sindacati di non garantire un’adeguata informazione su temi così rilevanti. La CGIL e le forze progressiste manifesteranno a Roma il 19 maggio proprio per chiedere più visibilità e trasparenza.
Il referendum dell’8 e 9 giugno non è soltanto una consultazione tecnica: rappresenta una sfida politica e democratica. Da una parte, si chiede un cambiamento su due fronti critici — inclusione e lavoro — con un impatto diretto sulla vita di milioni di persone. Dall’altra, si misura la capacità dei cittadini di esercitare il loro diritto di voto in un contesto di disinformazione e disaffezione politica. Con appena tre settimane a disposizione, il fronte del Sì dovrà correre contro il tempo per informare, mobilitare e convincere almeno un ulteriore 10-20% di elettori ad andare alle urne. Il rischio, altrimenti, è che i referendum falliscano non per il merito delle proposte, ma per il silenzio che li circonda.