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Guerra Israele-Iran, sesto giorno: missili su Tel Aviv e Teheran, Khamenei: “La battaglia ha inizio”. Trump: “Sappiamo dove si nasconde”

Nel sesto giorno di una guerra che rischia di trascinare l’intero Medio Oriente in una spirale incontrollabile, le tensioni tra Israele e Iran si sono ulteriormente intensificate. Nella notte, nuove esplosioni hanno scosso le capitali Tel Aviv e Teheran. Secondo fonti militari, sarebbero stati lanciati missili da entrambe le parti, con almeno 15 ordigni iraniani abbattuti dallo scudo antimissile israeliano. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno inoltre rivendicato la distruzione di tre droni iraniani.

Il Leader Supremo iraniano, Ali Khamenei, ha dichiarato apertamente: “La battaglia ha inizio”, lasciando presagire una possibile escalation non solo militare ma anche ideologica, in una guerra che per Teheran ha connotazioni esistenziali. Dall’altra parte dell’Atlantico, il presidente Donald Trump è tornato a farsi sentire con toni durissimi: *”Sappiamo esattamente dove si nasconde il cosiddetto ‘Leader Supremo’. È un bersaglio facile, ma lì è al sicuro. Non lo elimineremo, almeno non per ora”*. Trump ha anche annunciato che gli Stati Uniti hanno ottenuto il “controllo totale e completo dei cieli” nella regione, alimentando i timori di un coinvolgimento diretto americano. Secondo l’organizzazione Human Rights Activists, le vittime accertate in Iran avrebbero superato quota 600, un bilancio che cresce ora dopo ora e che non tiene conto dei dispersi e dei feriti gravi. Dall’altra parte, il ministero della Sanità israeliano segnala oltre 90 feriti a causa degli attacchi missilistici della notte. Fonti israeliane riferiscono di aver colpito con successo un sito di produzione di centrifughe nucleari e altri impianti militari. L’intelligence israeliana punta alla paralisi del programma nucleare iraniano, obiettivo dichiarato anche dal primo ministro Benjamin Netanyahu.

L’allarme lanciato dal *Crisis Group* è chiaro: gli attacchi israeliani potrebbero spingere l’Iran a riattivare il proprio programma atomico su scala accelerata, nella convinzione che solo il possesso dell’arma nucleare possa evitare un cambio di regime imposto dall’esterno. David Petraeus, ex capo della CIA e del CENTCOM, ha avvertito: “Un cambio di regime in Iran potrebbe trasformare il Paese in una nuova Libia o Yemen”. Secondo l’ex generale, se Teheran decidesse di tornare al tavolo delle trattative, lo farebbe solo dopo aver subito danni strutturali gravi. “Sarà doloroso per loro accettare le condizioni, ma l’alternativa sarebbe ancora peggiore”. Nonostante il conflitto, il governo iraniano ha assicurato che “tutti i valichi di frontiera restano aperti”*. Secondo Javad Hedayati, direttore dell’ufficio transiti stradali, il commercio e la circolazione di merci e persone continuano, seppure rallentati per motivi di sicurezza. In Europa, intanto, l’allarme per l’aumento dei prezzi di benzina e bollette è già una realtà. Il rischio di blocco degli approvvigionamenti energetici dall’area mediorientale potrebbe far impennare i costi nel breve termine, soprattutto in Italia, fortemente dipendente dall’importazione di gas e petrolio.

L’offensiva israeliana, mirata a smantellare le infrastrutture nucleari e militari iraniane, sta producendo un effetto opposto: rafforzare il sentimento di accerchiamento a Teheran e allargare il conflitto sul piano regionale. I prossimi giorni saranno decisivi per capire se le pressioni internazionali riusciranno ad arginare l’escalation o se il mondo si troverà a dover fronteggiare un nuovo conflitto di vasta portata nel cuore del Medio Oriente.

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