Attila, il terrore di tutte le cucine
NAPOLI (di Isabella Forte Nele) – E continuiamo il nostro viaggio nella cucina del tempo. Abbiamo lasciato Giulio Cesare intento a spalmare sul pane il garum, salsa a base di teste di alici. Certamente il suo successore, Ottaviano Augusto, colui che trasformò la repubblica in principato, rendendo Roma la capitale del mondo, avrà goduto di una cucina più raffinata, ma non ancora scaduta negli eccessi degli anni a lui successivi. Eccessi, ironicamente ed impietosamente ,descritti da Petronio nella cena di Trimalcione. Devo dire che, leggendo questo pezzo, quando vengono descritti “…salsicciotti a sfrigolare su una graticola d’argento e, sotto la graticola, susine di Siria con chicchi di melagrana …”, il desiderio di sperimentare questo connubio nella mia cucina è stato forte, magari con susine di Mercato San Severino, ma pur sempre susine.
Dicevamo dunque del lento , ma inesorabile avanzare degli eccessi culinari e non, spesso, in vari momenti storici, preludio della fine di un’epoca. Alle porte dell’impero romano, infatti, cominciavano ,all’inizio dell’era cristiana, a premere sempre più orde di popoli nomadi, affamati di terre ospitali, ricchezze e potere, pronti a travolgere l’ormai fragile impero. Tra i cosidetti barbari, nell’immaginario collettivo, il prototipo di barbaro è Attila, re degli unni: il flagello di Dio!
Ma Attila cosa mangiava ? Ammiano Marcellino , storico latino del I secolo d.C., scrive che questa popolazione si nutriva di cibi sconditi, erbe selvatiche e carne semicruda, riscaldata tra le cosce ed il dorso del cavallo.Insomma, secondo lo storico, poco distanti, in quanto a gusti culinari, dall’uomo delle caverne. Sembra, però, che alcuni rinvenimenti archeologici di calderoni per cucinare nelle terre degli Unni, proverebbero l’uso di cibi cotti e conditi. Anche gli Unni, quindi, tra un’invasione, un saccheggio ed una battaglia pare si dedicassero ad una attività meno dannosa e più produttiva: cucinavano! E questo ci rende felici.