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Cronaca

Amato Lamberti ricorda Giancarlo Siani: “il pericolo è l’intreccio politica, affari, criminalità”

Giancarlo Siani

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NAPOLI – (di Daniele Pallotta) –  La sera 23  settembre del 1985 Giancarlo Siani, collaboratore del quotidiano il Mattino e del periodico Osservatorio sulla camorra, veniva ucciso a colpi di pistola da due sicari della camorra, sotto casa, nel quartiere residenziale del vomero, a Napoli. Siani era corrispondente per il Mattino da Torre Annunziata e si occupava di cronaca nera. Le sue inchieste si concentrarono negli ultimi mesi prima di morire sul rapporto tra politica, imprenditoria e criminalità. Il 15 aprile 1997 la II sezione della Corte d’Assise di Napoli condanna all’ergastolo come esecutori del delitto Ciro Cappuccio e Armando del Core; come mandanti vengono condannati Valentino Gionta, Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante. Nel 1994 viene indagato per l’omicidio l’ex sindaco socialista di Torre Annunziata, l’accusa verrà archiviata.

Siani aveva svelato i vincoli di interessi politico criminali a Torre, il mercato ittico, la bonifica di alcuni quartieri, la speculazione per la ricostruzione del dopo terremoto.

“Sono convinto che Giancarlo desse fastidio ai politici di Torre Annunziata” afferma  il professore Amato Lamberti, direttore dell’Osservatorio sulla camorra cui collaborava Siani, e in passato presidente del provincia di Napoli.

Oggi lamberti continua ad insegnare alla facoltà di Sociologia dell’università Federico II di Napoli.

Una studentessa racconta che a lei come ad altri tesisti Lamberti chiede di fare ricerche sul campo, per conoscere il territorio.

L’incontro con il professore è iniziato con il suo ricordo di Giancarlo Siani.

Professor Lamberti, sono passati 25 anni dall’omicidio di Giancarlo Siani, qual è il suo ricordo di Giancarlo come persona e come giornalista?

Giancarlo era mio collaboratore nell’Osservatorio sulla camorra, facevamo diverse attività insieme, e  mi diede una grande mano ad organizzare un corso di giornalismo all’ Università popolare. Lavorava con scrupolo, con impegno. La cosa più articolata l’ha scritta per l’Osservatorio sulla camorra, trattava della camorra a Torre annunziata. Doveva scrivere un pezzo successivo,  in cui affrontava l’intreccio politica, affari e criminalità a Torre, ma non ha avuto tempo di farlo. Come corrispondente aveva spazi minimi  sul Mattino. Quando c’è stata la strage di sant’Alessandro lo cercavano giornali da tutta Italia perché era il solo in grado di dire cosa stava succedendo; i giornalisti che hanno usato le sue notizie non hanno citato che fosse stato Giancarlo la fonte. Questo l’ha addolorato, si aspettava un riconoscimento dai suoi colleghi.

Giancarlo non aveva comunicato un senso di pericolo nel periodo precedente il suo omicidio?

Io l’ho sentito qualche ora prima che fosse ammazzato, non mi ha manifestato nessuna preoccupazione, era abbastanza contento, perché aveva saputo che forse avrebbe avuto un contratto di praticantato. Lui aveva ricevuto delle  intimidazioni da qualche tossico o spacciatore di Torre, ma sono cose che capitano a tutti quelli che lavorano sul campo. C’erano manifestazione di insofferenza soprattutto dai politici che gli consigliavano di non insistere, di occuparsi delle cose positive di Torre.

E’ stato ucciso per l’articolo in cui rivelava che Valentino Gionta era stato arrestato grazie alla collaborazione del clan dei Nuvoletta, per tutti i suoi articoli di denuncia , o per le ricerche che stava svolgendo in quell’ultimo periodo?

L’unica verità  disponibile è quella giudiziaria. Dal processo è emerso che alla base ci fosse quest’articolo ( del 10 giugno 1985) in cui rivelava i retroscena dell’arresto di Gionta. Era chiarissimo, se uno legge il pezzo, che era una notizia che gli veniva dai carabinieri. Molte delle cose che scriveva erano cose che gli passavano i carabinieri, lui faceva spesso giri in procura.  Vai a capire se quella velina era stata fatta per vedere che reazione suscitava,  spesso le forze dell’ordine lo fanno, ti passano una notizia per vedere cosa succede. In quel caso è successo che l’hanno ammazzato.  Oggi c’è una sentenza passata in giudicato. Ma io penso che Giancarlo desse fastidio ai politici di Torre e forse bisognava guardare di più in quella direzione.

Lei conosce la famiglia di Giancarlo Siani?

Il padre  lo conoscevo perché era un funzionario della Regione. Il fratello l’ho conosciuto dopo. Con me Giancarlo non parlava molto della sua famiglia, i rapporti erano relativi all’Osservatorio sulla  camorra.

Fortapasc è un film fedele alla realtà e alla personalità di Giancarlo?

E’ un film. La figura di Giancarlo ne esce un po’ sminuita, perché lui era un ragazzo pieno di interessi, era politicamente impegnato, partecipava ad incontri, dibattiti, non era semplicemente il ragazzo col taccuino.

Che effetto producono sulla società civile le morti di Giancarlo Siani, Giovanni Falcone, paolo Borsellino?

Con Falcone e borsellino siamo su altro terreno. Probabilmente là dietro realmente c’erano le trattative tre stato e mafia per arrivare ad una qualche forma di accordo. Ho partecipato ad un dibattito una settimana prima della strage di via D’Amelio a Reggio Calabria con Borsellino, e lui disse “ l’esplosivo che mi farà saltare in aria è già arrivato in Sicilia, sapeva benissimo il rischio che correva.

La morte di Giancarlo può  intimidire altri giornalisti?

Forse, ma bisogna capire che le organizzazioni criminali non sono così sofisticate. Ammazzano chi gli da fastidio. Non ammazzano uno per educarne mille. Loro sono abituati ad  eliminare gli ostacoli, sia interni che esterni. La camorra se ti vuole ammazzare ti ammazza direttamente. A me è capitato un’infinità di volte di essere minacciato. I criminali valutano l’effetto delle loro azioni, sono dotati di raziocinio, lo dimostra il fatto che riescono a evitare di essere uccisi e che sono capaci di fare profitti.

La camorra oggi ha una struttura verticistica?

La criminalità organizzata funziona in tutto il mondo allo stesso modo. Invece la camorra dovrebbe essere un intreccio politica, affari, criminalità, dove il bastone del comando ce l’ha la politica. Non bisogna nascondere questo stato delle cose. Lo stesso Saviano fa diventare i Casalesi come dei grandi imprenditori a livello mondiale, mentre sono dei criminali che sono lo strumento della politica.

La criminalità è determinante per il risultato delle elezioni?

La camorra può orientare il voto degli strati della popolazione con cui è a contatto. Il resto della popolazione, professionisti, impiegati eccetera non sono in grado di orientarli. Per le elezioni sono determinanti i rapporti clientelari. E un ruolo chiave lo ricoprono i mass media, specialmente per quanto riguarda il condizionamento del ceto medio. Questi fattori pesano molto di più sulle elezioni rispetto alla criminalità.

Lei è stato presidente della Provincia di Napoli. Cosa ricorda di quest’esperrienza?

La provincia di Napoli ha il maggior numero di comuni sciolti per infiltrazione  camorristica. Quando sono diventato presidente ho istituito la Consulta provinciale anticamorra: i sindaci non partecipavano, era come se camorra non esistesse. Il nodo vero è questo. Oggi un amministratore onesto si trova conto un muro.

Angelo Vassallo era riuscito a dare una direzione giusta all’amministrazione pubblica.

Angelo era un amico, un ambientalista convinto, faceva il suo dovere di sindaco lottando contro ogni sorta di speculazione, e per  non fare del suo comune un luogo di spaccio. Ci teneva all’ integrità morale del territorio.

In percentuale quanti sono i sindaci come Vassallo?

Sono pochissimi. Io volevo promuovere delle iniziative  a favore della legalità in comuni a rischio, ma mi hanno sempre risposto:  vogliamo stare tranquilli. Gli dava fastidio anche piantare l’albero della legalità. La gente poi ti dice : tu non stai a Quindici a Lauro, a Ottaviano. La criminalità vive  delle paura della gente.

Se ci fossero posti del lavoro forse la criminalità non esisterebbe.

Il problema è più complesso. Coloro che investono il denaro proveniente da traffici criminali hanno bisogno di contatti imprenditoriali e politici. Con la droga, per esempio, fanno profitti enormi; anche perché c’è domanda.

Come combattere questa domanda di droga?

Io sono per la liberalizzazione, o meglio, per  regolarizzare l’uso delle droghe imponendo una serie di limitazioni. Bisogna informare che la droga distrugge, ma se una persona vuole fare questa scelta la può fare, ma senza mettere a rischio gli altri. Quindi, una volta legalizzato l’uso, bisognerebbe imporre controlli periodici per una serie di professioni, medici, autisti, impiegati pubblici: se se rileva dalle analisi l’uso di droga non puoi più lavorare, né guidare un’auto.  La lotta alla droga costa moltissimo, almeno 200000 persone tra forze dell’ordine e magistratura sono impiegate nella lotta al traffico di droga, ma non incidono sulla domanda che cresce sempre di più.

Come si spiega quest’aumento del consumo?

Difficile dare una risposta, dal momento in cui la domanda attraversa tutti gli strati sociali, tutte le età. Avvocati, medici, ceti bassi, il problema è che la droga incontra richieste diffuse nella società, le ragioni possono essere le più diverse. Regolarizzarne l’uso ponendo una serie di limitazioni, questa può essere una nuova strategia.

Nella sua vicenda di vita quali fasi ha attraversato la politica italiana in rapporto alla criminalità? Oggi in che fase siamo?

La criminalità è uno strumento della politica  e dell’impresa per fare affari contravvenendo alle leggi. La politica nel momento in cui ha voglia di liberarsi della criminalità non ci mette niente, come hanno fatto negli anni 80 con la nuova camorra. I criminali sono tutti schedati.

In questo scenario danno fiducia magistrati come Antonio Ingroia e Ilda Bocassini che continuano il lavoro di Borsellino e di Falcone.

Assolutamente meritorio il loro lavoro. Ma resta il fatto che ancora pochi politici vengono incriminati, e  che quasi sempre si usa la partecipazione esterna. Il politico non partecipa mai esternamente, il politico decide, i subalterni sono i crimainali. Oggi cercano Matteo Messina Denaro, forse in realtà chi tiene le fila sta al parlamento o al governo. Chi consente gli investimenti di capitali sporchi? A Palermo la mafia ha costruito tutto. Chi lo ha permesso e perché?

E’ possibile cambiare?

Deve partire dalla gente. Ma dovrebbe essere compito dei partiti. Ci sono partiti con persone colluse col crimine, è documentato, perché continuano a nominarli? E’gravissimo che un partito non riesca a fare pulizia al suo interno.