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Suicidio assistito in Italia: il caso Laura Santi, il testamento biologico e le battaglie per una morte consapevole

di Attilio Iannuzzo

In Italia, il diritto al suicidio medicalmente assistito è ancora immerso in un limbo giuridico e burocratico, dove la volontà di morire in modo consapevole si scontra con l’inerzia delle istituzioni. Se da un lato la Corte Costituzionale ha aperto uno spiraglio con la sentenza 242/2019, dall’altro l’assenza di una legge chiara e uniforme espone i cittadini a un’odissea fatta di ricorsi, ostacoli locali e lungaggini. Un simbolo di questa realtà è Laura Santi, giornalista perugina affetta da sclerosi multipla, che dopo due anni di battaglie è riuscita a ottenere il via libera al suicidio assistito, diventando la prima in Umbria e la nona in Italia.

Un sistema ancora incompleto: la normativa sul suicidio assistito

La sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale ha stabilito che non è punibile chi aiuta a morire una persona malata che:

– è affetta da una patologia irreversibile;
– soffre in modo intollerabile;
– dipende da trattamenti di sostegno vitale;
– è pienamente capace di autodeterminarsi.

Tuttavia, in mancanza di una legge specifica, l’applicazione pratica di questi principi è lasciata alle singole ASL, che spesso si rifiutano di avviare il percorso di verifica o pongono ostacoli interpretativi, come è accaduto proprio a Laura Santi. Nel suo caso, l’ASL Umbria 1 inizialmente ha negato l’autorizzazione, ritenendo che non fosse presente il requisito del trattamento salvavita. Solo grazie alla determinazione di Laura, al supporto dell’Associazione Luca Coscioni e alla successiva sentenza 135/2024 della Consulta, che ha ampliato la definizione di “trattamento di sostegno vitale”, è stato riconosciuto il suo diritto all’accesso al suicidio assistito.

Il testamento biologico: un primo passo verso l’autodeterminazione

Un importante precedente normativo in tema di fine vita è la legge 219/2017, entrata in vigore nel 2018, che ha introdotto il **testamento biologico**, o DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento). Con questo strumento ogni cittadino può esprimere in anticipo il proprio consenso o rifiuto rispetto a trattamenti sanitari in caso di futura incapacità di intendere e volere. La legge prevede anche la possibilità di nominare un fiduciario che agisca in nome e per conto del disponente. È un atto importante di autodeterminazione, ma che non copre interamente le situazioni come quella di chi, pur essendo lucido e cosciente, desidera porre fine volontariamente a una condizione di vita considerata insopportabile. In questo senso, il testamento biologico è stato un passo avanti, ma non è sufficiente a regolare in modo esaustivo il suicidio medicalmente assistito.

Laura Santi: “Ora che sono libera, scelgo di lottare”

Il caso di Laura non è solo personale, ma politico. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione, ha scelto di non procedere subito: “Ora che sono libera, scelgo di lottare ancora”, ha dichiarato durante un intervento pubblico dell’Associazione Luca Coscioni. La sua battaglia ora è rivolta alla raccolta firme per la legge regionale “Liberi Subito”, per garantire tempi certi e percorsi trasparenti a tutti i malati che vogliono accedere al suicidio assistito, senza dover ricorrere ai tribunali. Laura si inserisce nel solco delle battaglie civili portate avanti da Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, già protagonista del caso Dj Fabo. Cappato ha più volte sfidato la legge per far valere i diritti delle persone malate, affrontando processi giudiziari da cui è sempre stato assolto. L’Associazione, nata per volontà di Luca Coscioni – scienziato e politico malato di SLA – continua a difendere i diritti dei più fragili, portando avanti una campagna nazionale per ottenere una legge sul fine vita che sia chiara, equa e rispettosa della libertà individuale. Il Parlamento italiano ha più volte evitato di legiferare in materia, preferendo demandare ai tribunali e alle ASL una responsabilità che spetterebbe alla politica. Intanto, la sofferenza delle persone continua, aggravata da una burocrazia che nega o ritarda l’accesso a una scelta che dovrebbe essere individuale, consapevole e libera.

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