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Editoriali

Se la camorra uccide un amico

NAPOLI (di Attilio Iannuzzo) – Marcello si è ucciso lanciandosi nel vuoto, a pozzuoli, lontano dalle persone che gli volevano bene, lontano forse dalle persone che lo tormentavano. Tutto sanno che è stata la camorra ad ucciderlo. Non è un suicidio dettato solo dalla sofferenza interiore. Ma dopo due anni si continua a dare la colpa alla depressione. Dopo due anni, lo apprendo solo oggi. Frasi stupide, di persone stupide che si autoconvincono: “Era un po’ che sragionava, che aveva uno sguardo strano”, insomma “quasi ce lo aspettavamo”. E allora perché nessuno è intervenuto affinché quel suicidio non avvenisse? E’ chiaro, la camorra logora le persone senza che gli altri possano accorgersene. Marcello era un ragazzo solare, attento al sociale. Ricordo i nostri dialoghi durante la mia consiliatura municipale. Voleva migliorare il quartiere in cui viveva. Intanto il quartiere (me compreso) non si era accorto che lui doveva essere aiutato in qualche modo. Quando è la camorra il tuo male, è difficile che lo si confidi a qualcuno. La gente che ti ascolta ha paura di te quando sei afflitto da questi mali, tu hai paura di tutti gli altri. Non sai fino a che punto potrebbe giovarti “raccontare”. Ed allora sei costretto a vivere solo in mezzo alla gente fino a che non prendi una decisione. Combattere o farla finita. Marcello, due anni fa ha deciso di farla finita. La mia stima per lui continuerà ad esserci ancora. Se la camorra uccide, fa rabbia, provoca dolore, ma se uccide un amico, quella rabbia cresce un poco in più. Non si può contemplare l’accaduto, bisogna pensare a come lottare.

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