Monologo interiore ed un racconto di se stesso, il libro di Michele Serra
(di Sabina De Silva) Giulio Maria, antropologo a tempo perso e cinico per hobby, è figlio di una coppia “fuori tempo” – 40 anni lei, 62 anni lui. Questa grande differenza d’età porterà Giulio a sentirsi sempre inadeguato e fuori posto, sia nei confronti del padre, sia nei confronti del mondo esterno: 36 anni, sopravvive grazie ad un lavoro che non lo soddisfa, fidanzato da 5 anni con una donna “non alla sua altezza”, legato ad una città che odia, ma dalla quale non riesce a staccarsi, così come da casa di sua nonna, che condivide con sua madre e con una sua vecchia insegnante del liceo. Giulio guarda la vita con aria disincantata, quasi cinica: ipercritico nei confronti delle nuove tecnologie e di come hanno cambiato lo svolgersi della vita e delle relazioni umane, nasconde forse un’insoddisfazione perenne, un senso di incompiutezza dato dalla sensazione di non aver sfruttato a pieno il tempo fin’ora vissuto, e di non saper cosa fare del tempo che ancora gli resta.
Con una narrazione sempre al presente ed in prima persona, ogni capitolo è un ricordo che il narratore ripercorre attraverso un flusso di coscienza, a metà tra il monologo interiore ed un racconto di se stesso che il protagonista ha consapevolmente deciso di condividere con un ipotetico lettore. In questo nuovo racconto, Michela Serra dimostra una sensibilità e una finezza sovra-ordinarie: indaga i sentimenti in maniera così profonda da far credere che i ricordi scritti sulla carta siano proprio i suoi.
E forse è proprio così: Giulio Maria è l’alter ego di Serra come lo è di tutti noi. Scaglia ferocemente la sua invettiva contro “la società digitale” una società di automi che ripetono meccanicamente gli stessi gesti prestabiliti, dove il peso di ogni “Io” individuale appiattisce le relazioni ad un solo termine, dove “ognuno potrebbe”, ma alla fine preferisce non turbare l’ordine delle cose con un gesto od un’iniziativa troppo fuori dal normale. Giulio è tanto critico di questa società quanto in realtà permeato in essa, diventato ormai parte degli ingranaggi necessari a muovere il sistema: egli non vive, ma si lascia vivere, “vivacchia” in attesa che succeda qualcosa. Dov’è la via d’uscita quindi? Giulio la vede nel lavoro manuale, proprio quel lavoro che aveva portato suo padre lontano dalla sua famiglia e che Giulio per tutta la vita ha criticato. Forse il “vero” lavoro è l’unica cosa che riuscirà a salvarci e a “redimerci”, come una sorta di catarsi. Serra tutto questo ce lo suggerisce già dalla dedica del libro, che cita “ A Giovanna, al suo lavoro”: con la moglie, Giovanna Zucconi, ha infatti aperto un’attività che produce profumi e saponi estratti da erbe naturali.