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La prima commissione del Csm: «il premier denigrò la magistratura»

MILANO – Ha denigrato con accuse infondate il sostituto procuratore di Milano Fabio De Pasquale, pm del processo Mills, ma anche la magistratura nel suo complesso,il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi quando il 3 ottobre dell’anno scorso parlò dell’esistenza di un«’associazione a delinquere» tra le toghe e definì «famigerato» il magistrato milanese. È quanto sostiene la Prima Commissione del Csm nella proposta di risoluzione con cui ha concluso la pratica a tutela di De Pasquale, e che è stata approvata a maggioranza, con il voto contrario del laico della Lega Matteo Brigandì.

LA TESI – Nel discorso che tenne alla Festa del Pdl a Milano, Berlusconi non solo definì «famigerato» De Pasquale, e parlò di «un’associazione a delinquere» nella magistratura, ma mise in evidenza che «tre diversi collegi, quello di primo grado, secondo grado e la Cassazione» avevano avallato la tesi del pm del processo Mills «dimostrando quindi che c’è un accordo fra i giudici di sinistra che vuole sovvertire il risultato delle elezioni». Inoltre il premier rilevò che De Pasquale era «lo stesso pm che disse a Cagliari che il giorno dopo l’avrebbe messo in libertà e poi è andato in vacanza e il giorno dopo Cagliari si è tolto la vita». Un intervento che provocò la reazione indignata dell’Associazione nazionale magistrati, che puntò l’indice contro i «continui attacchi che rischiano di delegittimare un’istituzione dello Stato», e del procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati, che bollò le parole del premier come «denigrazioni che si qualificano da sole». Ora la Prima Commissione del Csm sottolinea innanzitutto l’infondatezza delle accuse rivolte da Berlusconi a De Pasquale per il caso Cagliari e su cui il premier fonda la «parzialità» del pubblico ministero di Milano: non c’è collegamento tra la morte di Cagliari e il comportamento di De Pasquale, riconosciuto legittimo dagli accertamenti penali e disciplinari che furono compiuti all’epoca, scrive la Commissione che vede inoltre nelle parole del presidente del Consiglio su un «preteso e non dimostrato accordo» tra le toghe per «sovvertire il risultato elettorale», il rischio di una delegittimazione dell’intera magistratura. Il documento contro il quale ha votato Brigandì, che ha presentato una relazione di minoranza, sarà discusso dal plenum probabilmente la prossima settimana.

CONSULTA – Martedì invece è un’altra giornata importante per il premier. La Corte Costituzionale terrà infatti l’udienza relativa alla costituzionalità della legge sul legittimo impedimento, che mette al riparo Berlusconi, almeno fino all’ottobre prossimo, dalla ripresa dei tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade). Per i magistrati che hanno fatto ricorso alla Consulta la legge introduce una «presunzione assoluta» di impedimento che di fatto introduce un’immunità, per la quale sarebbe stata necessaria una norma costituzionale e non ordinaria (violazione dell’art. 138 della Costituzione). Inoltre, nel contemplare una serie amplia ed indeterminata di attività del premier e dei ministri sottrae al giudice «il potere-dovere di verificare l’effettiva sussistenza dell’impedimento». Lo scudo si traduce infine in una «causa automatica di rinvio del dibattimento sproporzionata rispetto alla tutela del diritto di difesa» (violazione dell’art.3). Secondo i legali del premier invece l’attività del premier, «essendo essenzialmente politica», deve essere «libera sia nei fini che si prefigge, sia nei mezzi attraverso i quali si propone di realizzarli». Perciò il giudice può «controllare l’autenticita» dell’attestazione della presidenza del Consiglio, ma non può «sindacare il merito dell’attività di governo, giudicandola più o meno importante o necessaria». E ancora: la legge – secondo gli avvocati – non introduce una prerogativa costituzionale ma semplicemente la tipizzazione di alcuni casi di impedimento per premier e ministri a comparire in udienza e dunque l’integrazione di un istituto processuale già esistente (l’art. 420-ter del codice di procedura penale). (Corriere della Sera)

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