Gaza, il piano di Netanyahu: no all’annessione, ma sì all’occupazione con «governo civile arabo»
Mentre il gabinetto politico di sicurezza israeliano si riunisce per definire le prossime mosse nella Striscia di Gaza, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha chiarito in un’intervista a Fox News i contorni della strategia israeliana: niente annessione formale di Gaza, ma una nuova forma di controllo attraverso l’occupazione militare e la successiva istituzione di un governo civile arabo.
“Non vogliamo mantenere Gaza, ma vogliamo un perimetro di sicurezza. Non intendiamo governarla, ma assicurarci che non sia più una minaccia per Israele”, ha spiegato Netanyahu. La priorità dichiarata da Netanyahu è l’eliminazione di Hamas dalla Striscia di Gaza. Una volta raggiunto questo obiettivo, la regione dovrebbe essere affidata a un’amministrazione civile araba, indipendente da qualsiasi legame con il movimento islamista o con soggetti ostili a Israele.
Il premier ha parlato della creazione di un “governo civile” in grado di garantire sicurezza e stabilità senza mettere a rischio lo Stato ebraico. Il controllo militare diretto, secondo il piano, non dovrebbe essere permanente, ma non si esclude un presidio israeliano per la definizione e il mantenimento di un perimetro di sicurezza lungo i confini dell’enclave palestinese.
L’operazione militare: 4-5 mesi per la conquista di Gaza
Secondo quanto riferito da Channel 12, il piano prevede una campagna militare graduale della durata di circa quattro o cinque mesi. La prima fase consisterà nella presa di Gaza City, con l’evacuazione forzata di circa un milione di residenti – quasi la metà dell’intera popolazione della Striscia.
Nel piano sarebbe incluso anche l’allestimento di infrastrutture per ospitare gli sfollati e il potenziamento dell’ingresso degli aiuti umanitari, un tema critico alla luce delle gravi condizioni di malnutrizione causate dal prolungato blocco israeliano degli aiuti. L’amministrazione statunitense, pur mantenendo una posizione pubblica prudente – con Donald Trump che ha dichiarato che “dipenderà da Israele” – avrebbe dato il proprio via libera all’operazione. Washington avrebbe anche proposto di aumentare i centri per la distribuzione degli aiuti umanitari, da quattro a sedici, attraverso un sostegno alla Gaza Humanitarian Foundation. Si parla di uno stanziamento fino a un miliardo di euro in fondi destinati all’assistenza della popolazione civile.
Le proteste dei familiari degli ostaggi
Tuttavia, non tutti in Israele appoggiano il piano. Davanti alla sede del governo, a Gerusalemme, si sono radunati i familiari degli ostaggi ancora detenuti a Gaza, che temono che una massiccia operazione militare possa mettere in pericolo la vita dei loro cari.
“Accettare l’accordo, porre fine alla guerra” e “la pressione militare uccide gli ostaggi” sono stati alcuni degli slogan lanciati dai manifestanti, che chiedono a Netanyahu di considerare alternative diplomatiche per risolvere il conflitto e riportare gli ostaggi a casa.
Nonostante le dichiarazioni ufficiali, resta alta l’incertezza su come Israele intenda esercitare il controllo sulla Striscia. La distinzione tra non voler annettere Gaza e occuparla militarmente appare sfumata e solleva dubbi sia a livello internazionale che interno. Le modalità con cui verrà scelto e installato un “governo civile” arabo non sono ancora chiare, così come non lo è il grado di autonomia che esso potrà realmente esercitare.
Intanto, la popolazione di Gaza – già colpita da mesi di guerra, fame e sfollamenti – si prepara ad affrontare una nuova fase del conflitto, con il rischio che la fine di Hamas coincida con l’inizio di un’occupazione lunga e difficile da gestire.
“Non vogliamo mantenere Gaza, ma vogliamo un perimetro di sicurezza. Non intendiamo governarla, ma assicurarci che non sia più una minaccia per Israele”, ha spiegato Netanyahu. La priorità dichiarata da Netanyahu è l’eliminazione di Hamas dalla Striscia di Gaza. Una volta raggiunto questo obiettivo, la regione dovrebbe essere affidata a un’amministrazione civile araba, indipendente da qualsiasi legame con il movimento islamista o con soggetti ostili a Israele.
Il premier ha parlato della creazione di un “governo civile” in grado di garantire sicurezza e stabilità senza mettere a rischio lo Stato ebraico. Il controllo militare diretto, secondo il piano, non dovrebbe essere permanente, ma non si esclude un presidio israeliano per la definizione e il mantenimento di un perimetro di sicurezza lungo i confini dell’enclave palestinese.
L’operazione militare: 4-5 mesi per la conquista di Gaza
Secondo quanto riferito da Channel 12, il piano prevede una campagna militare graduale della durata di circa quattro o cinque mesi. La prima fase consisterà nella presa di Gaza City, con l’evacuazione forzata di circa un milione di residenti – quasi la metà dell’intera popolazione della Striscia.
Nel piano sarebbe incluso anche l’allestimento di infrastrutture per ospitare gli sfollati e il potenziamento dell’ingresso degli aiuti umanitari, un tema critico alla luce delle gravi condizioni di malnutrizione causate dal prolungato blocco israeliano degli aiuti. L’amministrazione statunitense, pur mantenendo una posizione pubblica prudente – con Donald Trump che ha dichiarato che “dipenderà da Israele” – avrebbe dato il proprio via libera all’operazione. Washington avrebbe anche proposto di aumentare i centri per la distribuzione degli aiuti umanitari, da quattro a sedici, attraverso un sostegno alla Gaza Humanitarian Foundation. Si parla di uno stanziamento fino a un miliardo di euro in fondi destinati all’assistenza della popolazione civile.
Le proteste dei familiari degli ostaggi
Tuttavia, non tutti in Israele appoggiano il piano. Davanti alla sede del governo, a Gerusalemme, si sono radunati i familiari degli ostaggi ancora detenuti a Gaza, che temono che una massiccia operazione militare possa mettere in pericolo la vita dei loro cari.
“Accettare l’accordo, porre fine alla guerra” e “la pressione militare uccide gli ostaggi” sono stati alcuni degli slogan lanciati dai manifestanti, che chiedono a Netanyahu di considerare alternative diplomatiche per risolvere il conflitto e riportare gli ostaggi a casa.
Nonostante le dichiarazioni ufficiali, resta alta l’incertezza su come Israele intenda esercitare il controllo sulla Striscia. La distinzione tra non voler annettere Gaza e occuparla militarmente appare sfumata e solleva dubbi sia a livello internazionale che interno. Le modalità con cui verrà scelto e installato un “governo civile” arabo non sono ancora chiare, così come non lo è il grado di autonomia che esso potrà realmente esercitare.
Intanto, la popolazione di Gaza – già colpita da mesi di guerra, fame e sfollamenti – si prepara ad affrontare una nuova fase del conflitto, con il rischio che la fine di Hamas coincida con l’inizio di un’occupazione lunga e difficile da gestire.

