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Dunkirk: l’eterno limbo di Nolan

di Danilo Piscopo

Esistono film di guerra e film che parlano della guerra. Si potrebbe quasi tracciare una linea verticale sulla  lavagna del cinema e spostare i film, che trattano di questo argomento, nella loro giusta colonna. Vorrei prendere come esempio soltanto due: Salvate il soldato Ryan e Orizzonti di Gloria. E mi sembra di aver detto già tutto.

Dunkirk è uno di quei film, secondo il mio parere, sospesi in un eterno limbo, come il finale di Match Point:  non sapremo mai da quale parte della linea si posizionerà il film. L’elemento visivo, ovviamente, fa da padrone in quanto Nolan è un maestro della sobrietà spettacolare, mai eccessivo nel mettere troppa roba nell’inquadratura da confondere lo spettatore che non sa mai dove guardare. Sorprendente (almeno per me) è stato l’uso del sonoro. Infatti sembra che Hans Zimmer in questo film si sia finalmente trattenuto e quel Mammut composto da massimo due note si sia in qualche modo assopito, addormentato per lasciare spazio ad una colonna sonora a tratti quasi minimale.  Un inizio spettacolare, girato con telecamera a spalla (si fa per dire, dato che ormai al cinema non trema quasi più niente) che segue uno dei protagonisti in un labirinto di stradine e vicoli, inseguito da pallottole che sembrano venir fuori dal nulla, fino al suo arrivo in spiaggia. Un inizio che sa di speranza, di buoni propositi per l’anno nuovo. Ma è solo l’inizio e di lì in poi la storia inizia ad ingarbugliarsi. Nolan decide che lo svolgimento del film dovrà essere ripreso da punti di vista differenti: terra, mare e cielo (come i reparti militari) e quindi i protagonisti diventano essenzialmente tre, più la partecipazione di  Kenneth Branagh, capitano della flotta inglese, che per tutto il film non fa altro che dispensare frasi retoriche e ad effetto. Un giochino, quello dei punti di vista, che dopo un po’ stanca e che rende il tutto confuso e difficile da seguire con chiarezza. Sarebbe stato più logico focalizzarsi sul solo punto di vista interessante della storia, quello del  soldato protagonista inglese Tommy che ne passa di tutti i colori. Il resto delle storie risultano un po’ forzate e a tratti inutili, come quella di Tom Hardy (non me ne vogliate).

Personalmente i miei timori erano tutti riposti nel finale, ancora sotto shock per la seconda parte approssimativa e deludente (a tratti ridicola) di Interstellar, fortunatamente con Dunkirk la cosa tende a migliorare, a fatica, ma migliora. Tecnicamente, in fondo, Dunkirk resta un film interessante, nonostante le estenuanti riprese di affondamento di navi, che dapprima incutono allo spettatore un senso di claustrofobia, ma che subito dopo diventano soltanto un copia e incolla senza alcun coinvolgimento emotivo. Altra cosa interessante è la angosciosa assenza/presenza di un nemico, che quasi come un fantasma (o comunque un elemento soprannaturale) sbuca dal cielo con rombo di motori assordante  lasciando lo spettatore inerme al pericolo incombente.

Dicevo che il finale stavolta non è certamente paragonabile a quello in Interstellar, ed è vero. Ma Nolan non ha voluto risparmiarci la solita assurda scena che puntualmente inserisce nei suoi film. Se per The Dark Knight tutti hanno ipercriticato la scelta di un Alfred attore per lo spot della Fernet Branca, diventando un Meme per l’eternità, qui, non con minor sorte, la scelta cade su un soldato che nel bel mezzo della battaglia pare si sia addormentato! per poi risvegliarsi, chiamato da Branagh, che gli suggerisce di ridestarsi  per non perdere la nave verso casa. Una scena che personalmente mi ha fatto rabbrividire e allo stesso tempo ridere fino a farmela nei pantaloni. Sarà voluta la scenetta comica? Chissà!

Credo che Nolan regista, sceneggiatore e produttore inglese, quindi europeo, sia nel corso di questi anni diventato fin troppo “americano” come direbbe Stanis La Rochelle, e che questo film, omaggio alla sua madre patria (presumibilmente) meritasse un approccio molto più europeo, per l’appunto. I misurati ma eclatanti effetti speciali, una regia barocca con eccessivi movimenti di macchina e una retorica tipica della scuola americana (quella delle Major almeno) rendono questo film, che poteva essere molto più interessante, una semplice pellicola d’intrattenimento, un blockbuster come tanti, ma con più stile. I fans si arrabbieranno molto per queste parole, ma spesso si tende ad esaltare le doti di un regista fino a credere che qualsiasi cosa produca possa essere in qualche modo arte, questo è il caso di Nolan, che resta, in ogni caso, uno dei migliori intrattenitori del panorama cinematografico contemporaneo, niente di più niente di meno.

Voto: 3/5 stelle

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