Ponte sullo Stretto, lo stop della Corte dei Conti congela i piani di Salvini
Il sogno di Matteo Salvini di aprire i cantieri del Ponte sullo Stretto di Messina entro l’inverno rischia di restare, ancora una volta, sulla carta. Dopo la bocciatura della Corte dei Conti, che ha negato il visto di legittimità alla delibera Cipess approvata in agosto, il governo si trova in una situazione di stallo da cui è difficile uscire rapidamente. Le motivazioni ufficiali della decisione arriveranno entro 30 giorni, ma i rilievi dei magistrati contabili — giuridici, economici e procedurali — delineano già un quadro complesso e potenzialmente esplosivo.
Il nodo della Corte dei Conti
La Sezione di controllo di legittimità della Corte dei Conti ha fermato la delibera Cipess, atto chiave per l’avvio del progetto definitivo del Ponte, evidenziando una serie di irregolarità. Si tratta di una mancata “bollinatura” che non sorprende gli addetti ai lavori, ma che rappresenta comunque un duro colpo politico per Salvini, che aveva promesso di far partire i lavori entro novembre. Il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, però, non intende arretrare: ha già annunciato che il governo risponderà “punto su punto” ai rilievi della Corte, senza cercare lo scontro frontale. Una volta ricevute le motivazioni, l’esecutivo potrà chiedere alla Corte di apporre un “visto con riserva” sulla delibera — una procedura prevista ma mai utilizzata per opere di tale portata, dal valore stimato di 13,5 miliardi di euro. Questa soluzione, tuttavia, sarebbe soltanto un rimedio temporaneo: permetterebbe la pubblicazione dell’atto in Gazzetta Ufficiale e quindi un teorico via libera ai lavori, ma lascerebbe in piedi tutti i dubbi di legittimità, con il rischio di contenziosi amministrativi e civili in futuro.
Le criticità giuridiche e procedurali
Secondo le anticipazioni, la Corte dei Conti ha rilevato violazioni sostanziali delle norme europee sulla concorrenza. Il punto principale riguarda l’aumento vertiginoso dei costi: il progetto originario del 2005 valeva 3,9 miliardi di euro, oggi è arrivato a 13,5 miliardi. Un incremento superiore al 50%, soglia oltre la quale la legge impone l’indizione di una nuova gara.
«La Corte ha chiesto alla società Stretto di Messina tutti gli atti aggiuntivi che dimostrassero il rispetto del tetto, ma non li ha ricevuti», spiega a Fanpage.it il professor Domenico Marino, economista dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. «È evidente che a queste condizioni si sarebbe dovuto bandire un nuovo appalto. L’attuale iter viola le norme sulla concorrenza».
A complicare ulteriormente la situazione, c’è la trasformazione della natura finanziaria del progetto: la gara del 2005 prevedeva un project financing, con una parte di fondi privati. Oggi, invece, l’opera è interamente a carico dello Stato. Questo cambio di impostazione, secondo gli esperti, richiederebbe una nuova procedura di gara, perché altera profondamente le condizioni originarie.
Il rebus ambientale e il caso IROPI
Non meno gravi sono le criticità ambientali. La Corte dei Conti ha sottolineato che la delibera IROPI (“Motivi Imperativi di Interesse Pubblico Prevalente”), approvata dal Consiglio dei ministri ad aprile per aggirare la Valutazione di Incidenza Ambientale negativa, non reca alcuna firma. «Abbiamo delibere senza padri», ha commentato il professor Marino. «Nessuno si è voluto assumere la responsabilità diretta di un atto così delicato. È un fatto emblematico». Inoltre, secondo la Corte, l’IROPI non risolve le illegittimità evidenziate dalla Valutazione di Incidenza Ambientale. In altre parole, il governo ha tentato di giustificare la deroga senza superare le criticità di fondo.
Il piano economico “che fa acqua da tutte le parti”
Sul fronte finanziario, i conti non tornano. Le stime ufficiali indicano che per coprire i costi di gestione del ponte dovrebbero transitare più di dieci milioni di autovetture all’anno — un numero giudicato del tutto irrealistico dagli analisti. «Il piano economico e finanziario non è sostenibile», ribadisce Marino. «Il governo sostiene che, una volta costruita, l’opera non richiederà ulteriori fondi pubblici. Ma è falso. Le previsioni sui flussi di traffico sono gonfiate e incoerenti. Persino le tariffe ipotizzate oscillano senza logica: Salvini parla di 10 euro per le auto, l’ad Ciucci di 7».
Salvini in un vicolo cieco
Politicamente, la partita è tutta in salita. «L’unica soluzione pienamente conforme ai rilievi della Corte sarebbe ripartire da zero, con una nuova procedura di gara e una revisione integrale del progetto», spiega Marino. «Ma significherebbe almeno cinque anni di lavoro. Salvini e il governo sono in un vicolo cieco». Il ministro può insistere con la registrazione “con riserva”, ma si tratterebbe — per dirla con l’economista — di «un’anatra zoppa». L’iter resterebbe vulnerabile a ricorsi e a possibili accuse di danno erariale.
Il nodo della Corte dei Conti
La Sezione di controllo di legittimità della Corte dei Conti ha fermato la delibera Cipess, atto chiave per l’avvio del progetto definitivo del Ponte, evidenziando una serie di irregolarità. Si tratta di una mancata “bollinatura” che non sorprende gli addetti ai lavori, ma che rappresenta comunque un duro colpo politico per Salvini, che aveva promesso di far partire i lavori entro novembre. Il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, però, non intende arretrare: ha già annunciato che il governo risponderà “punto su punto” ai rilievi della Corte, senza cercare lo scontro frontale. Una volta ricevute le motivazioni, l’esecutivo potrà chiedere alla Corte di apporre un “visto con riserva” sulla delibera — una procedura prevista ma mai utilizzata per opere di tale portata, dal valore stimato di 13,5 miliardi di euro. Questa soluzione, tuttavia, sarebbe soltanto un rimedio temporaneo: permetterebbe la pubblicazione dell’atto in Gazzetta Ufficiale e quindi un teorico via libera ai lavori, ma lascerebbe in piedi tutti i dubbi di legittimità, con il rischio di contenziosi amministrativi e civili in futuro.
Le criticità giuridiche e procedurali
Secondo le anticipazioni, la Corte dei Conti ha rilevato violazioni sostanziali delle norme europee sulla concorrenza. Il punto principale riguarda l’aumento vertiginoso dei costi: il progetto originario del 2005 valeva 3,9 miliardi di euro, oggi è arrivato a 13,5 miliardi. Un incremento superiore al 50%, soglia oltre la quale la legge impone l’indizione di una nuova gara.
«La Corte ha chiesto alla società Stretto di Messina tutti gli atti aggiuntivi che dimostrassero il rispetto del tetto, ma non li ha ricevuti», spiega a Fanpage.it il professor Domenico Marino, economista dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. «È evidente che a queste condizioni si sarebbe dovuto bandire un nuovo appalto. L’attuale iter viola le norme sulla concorrenza».
A complicare ulteriormente la situazione, c’è la trasformazione della natura finanziaria del progetto: la gara del 2005 prevedeva un project financing, con una parte di fondi privati. Oggi, invece, l’opera è interamente a carico dello Stato. Questo cambio di impostazione, secondo gli esperti, richiederebbe una nuova procedura di gara, perché altera profondamente le condizioni originarie.
Il rebus ambientale e il caso IROPI
Non meno gravi sono le criticità ambientali. La Corte dei Conti ha sottolineato che la delibera IROPI (“Motivi Imperativi di Interesse Pubblico Prevalente”), approvata dal Consiglio dei ministri ad aprile per aggirare la Valutazione di Incidenza Ambientale negativa, non reca alcuna firma. «Abbiamo delibere senza padri», ha commentato il professor Marino. «Nessuno si è voluto assumere la responsabilità diretta di un atto così delicato. È un fatto emblematico». Inoltre, secondo la Corte, l’IROPI non risolve le illegittimità evidenziate dalla Valutazione di Incidenza Ambientale. In altre parole, il governo ha tentato di giustificare la deroga senza superare le criticità di fondo.
Il piano economico “che fa acqua da tutte le parti”
Sul fronte finanziario, i conti non tornano. Le stime ufficiali indicano che per coprire i costi di gestione del ponte dovrebbero transitare più di dieci milioni di autovetture all’anno — un numero giudicato del tutto irrealistico dagli analisti. «Il piano economico e finanziario non è sostenibile», ribadisce Marino. «Il governo sostiene che, una volta costruita, l’opera non richiederà ulteriori fondi pubblici. Ma è falso. Le previsioni sui flussi di traffico sono gonfiate e incoerenti. Persino le tariffe ipotizzate oscillano senza logica: Salvini parla di 10 euro per le auto, l’ad Ciucci di 7».
Salvini in un vicolo cieco
Politicamente, la partita è tutta in salita. «L’unica soluzione pienamente conforme ai rilievi della Corte sarebbe ripartire da zero, con una nuova procedura di gara e una revisione integrale del progetto», spiega Marino. «Ma significherebbe almeno cinque anni di lavoro. Salvini e il governo sono in un vicolo cieco». Il ministro può insistere con la registrazione “con riserva”, ma si tratterebbe — per dirla con l’economista — di «un’anatra zoppa». L’iter resterebbe vulnerabile a ricorsi e a possibili accuse di danno erariale.

