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Le Agende Rosse sfilano per le vie di Palermo per Nino di Matteo

NAPOLI (di Maurizio Scialdone) – Il corteo delle Agende Rosse sfila per le vie centrali di Palermo. In testa al corteo campeggia una scritta: “Se gli amici romani (“amici romani” tra virgolette) toccano Nino di Matteo, stavolta non staremo a guardare”.

E’ un’eloquente risposta della cittadinanza palermitana, che da’ voce a quella di tutto il paese, che si fa Stato. Che da’ risposte che dovrebbe dare lo Stato. Ma che lo Stato non sa dare.

Così come per Paolo Borsellino, si è ora diffusa la notizia che sarebbe arrivato in Sicilia il tritolo anche per Nino di Matteo. Sono avvertimenti? E’ arrivato davvero? Nessuno ha pensato di monitorare costantemente gli “arrivi” e le “partenze” dall’Isola? Eppure Totò Riina a gennaio, passeggiando per il cortile del carcere di Opera a Milano, lo aveva detto ad Alberto Lorusso, esponente della Sacra Corona Unita: “io lo dissi che lo faccio finire peggio del giudice Falcone“, riferendosi al pm di Matteo.

Ora siamo di nuovo qui. Col fiato sospeso. Con la differenza che nel ’92, dell’arrivo del tritolo in Sicilia non ne sapeva niente nessuno, se non il procuratore capo Giammanco, che però pensò bene di non avvertire Borsellino, mentre in questi giorni lo sappiamo tutti.

Agende rosse, corteo a palermoLe Agende Rosse di Palermo si fanno scudi umani per il pm che indaga sulla trattativa Stato-Mafia, il quale, al termine della manifestazione, ai piedi del Palazzo di Giustizia di Palermo pronuncia parole cariche di tensione: “Sono qui soltanto per un motivo, per ringraziare i tanti cittadini, in particolare i giovani, che hanno ancora la volontà e la capacità di informarsi, di pensare, di valutare, di indignarsi e di reagire“. E poi continua…”io non so cosa accadrà, ho soltanto una speranza, la speranza che conserverete sempre questa passione civile, che non vi adeguerete mai all’andazzo prevalente di un paese sempre più indifferente alla giustizia, di un paese troppe volte insofferente anche nei confronti della verità, dell’indipendenza della magistratura, della tutela vera dei valori costituzionali”. E ancora rivolgendosi ai giovani: “solo voi avete la possibilità di sconfiggere la mafia, la mentalità mafiosa, la mentalità dell’appartenenza e del potere fine a se stesso“.

In chiusura pronuncia parole agghiaccianti per chi ricorda le stragi di Capaci e via D’Amelio: “Perseguite con forza i vostri ideali. Comunque vada (ed è qui che si gela il sangue… su quel “comunque vada”)… avrete combattuto per rendere più libero e più giusto il nostro paese e sarà stata una giusta battaglia“.

Siamo ancora a questo? Stiamo ancora qui a chiederci come andrà a finire? Il finale lo dovremmo conoscere tutti e dovrebbe essere scontato. E invece Nino di Matteo deve pronunciare parole come “Comunque vada“…  perché non c’è nulla che gli dia certezza. E questo è gravissimo. E’ gravissimo che lo Stato non lo faccia sentire al sicuro. Quelle parole ci fanno ripiombare a peso morto nel ’92.

Siamo qui, dopo vent’anni di intrighi e papelli, costretti a guardare negli occhi il terrore di un uomo che non riesce ad immaginare un lieto fine? A questo siamo ridotti?

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