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L’arbitrato sportivo ed il caso Pandev

PandevNAPOLI (di Bonaventura Franchino ) – La sentenza  n. 19182/2013, con cui la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza del Tribunale di Milano, segna un momento importante nella rappresentazione dell’arbitrato sui contratti di lavoro dipendente.

Con questa sentenza, la sezione lavoro della Corte ha colto l’occasione per individuare la linea di demarcazione esistente tra l’arbitrato rituale –disciplinato dall’art.825 del cpc- e quello irrituale; difatti, ha precisato che in questa seconda fattispecie rientrano non solo le clausole compromissorie della federazioni sportive ( cfr caso Pandev ), ma anche tutte le controversie in materia di lavoro privato previste dalla legge o dai contratti collettivi nonché le sanzioni irrogate ai dipendenti della PA.

Le differenze fra le due tipologie di arbitrato sono rilevanti avendo l’arbitrato irrituale conseguenze rilevanti in special modo per quanto attiene il regime delle impugnazioni, come nel caso concreto che la Corte è stata chiamata a decidere.

Difatti, nel caso in esame, la Corte, ritenendo la vicenda legata al caso Pandev assumibile tra le fattispecie degli arbitrati irrituali, annullando il provvedimento del Tribunale di Milano, ha rimesso a tale giudice nuovamente la vicenda giudiziaria per la decisione.

Si ricorda la vicenda processuale sottostante alla pronuncia della Corte di Cassazione : nel 2009 il collegio arbitrale della lega calcio dichiarava la risoluzione del calciatore Pandev con la società sportiva Lazio condannando quest’ultima al risarcimento danni.; la decisione del collegio veniva resa esecutiva con provvedimento del presidente del Tribunale di Milano; successivamente, il Tribunale di Milano dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla società Lazio avverso l’arbitrato della Lega Calcio , perché ritenuto improponibile ( oltre i termini fissati per la impugnativa dell’arbitrato rituale ) l

La Corte,invero,  rilevando che l’ipotesi in questione è assumibile nelle ipotesi di arbitrato irrituale, ha individuato delle differenziazioni fra i due istituti; nei fatti, ha stabilito che i termini per la impugnativa decorrono dalla notifica del lodo arbitrale e non già dalla comunicazione integrale effettuata a cura degli arbitri.

Sulla base di questa motivazione, la Corte ha rimesso in termini il calciatore che aveva impugnato il lodo dopo 23 giorni dalla notifica, ma dopo 36 giorni dalla sua esecutività dichiarata dal Presidente del Tribunale.

Ha affermato ulteriormente la Corte che, trattandosi di lodo sportivo, il Tribunale di Milano ha, erroneamente, dichiarato l’esecutività del  lodo senza tener conto che questa poteva essere dichiarata solo se il lodo era stato accettato in forma scritta dalle parti, ovvero nella ipotesi di rigetto del ricorso con cui veniva impugnato il lodo.

Nell’ipotesi all’esame, pur a prescindere dalla accettazione in forma scritta del lodo,deve rilevarsi che il Tribunale di Milano, attribuendo carattere decisorio al decreto presidenziale di esecutorietà,aveva negato al calciatore di esercitare il proprio diritto di difesa mediante la impugnazione nel merito.

Ancora, nella ipotesi che qui ci occupa, trattandosi di lodo irrituale, sarebbe stata negata la possibilità di ricorrere alla Corte d’Appello essendo questo istituto previsto espressamente come rimedio nelle ipotesi di lodo tipico , ex art.825 cpc.

In sintesi, la Corte, pur riconoscendo ad entrambe i lodi natura privata, espressamente riconosce che nell’ipotesi di lodo rituale le parti vogliono pervenire ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e quindi produrre effetti di legge, nelle ipotesi di arbitrato irrituale, invece,  le parti intendono affidare ad un arbitro la soluzione di problemi attraverso lo strumento negoziale e quindi riconducibile alla volontà delle parti. con la possibilità di impugnativa.

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