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Editoriali

Giovanni Falcone, un uomo contro cosa nostra

PALERMO  – Muore nella sua città a Palermo, fra le lamiere di un’auto blindata, con sua moglie Francesca ed insieme ai compagni che per dieci anni l’avevano tenuto in vita e protetto. Ucciso dalla mafia siciliana alle 17,58 del 23 maggio del 1992.

Giovanni Falcone
La più atroce delle stragi si consuma in un tratto di autostrada lungo 100 metri. Dove mille chili di tritolo sventrano l’asfalto e scagliano in aria uomini, alberi, macchine. Un boato enorme, sembra un vulcano che scarica la sua rabbia. In trenta, in trenta interminabili secondi il cielo rosso di una sera d’estate diventa nero, volano in alto le automobili corazzate, sprofondano in una voragine, spariscono sotto le macerie. Muore il giudice, muore Francesca, muoiono tre poliziotti della sua scorta. Ci sono anche sette feriti, ma c’è chi dice che sono più di dieci. Alcuni hanno le gambe spezzate, altri sono in fin di vita. Un bombordamento, la guerra. Sull’autostrada Trapani-Palermo i boss di Cosa Nostra cancellano in un attimo il simbolo della lotta alla mafia. A noi piace ricordarlo vivo, grintoso, sorridente, per la forza con la quale ha condotto la sua attività di magistrato e per l’esempio che ha trasmesso alle nuove generazioni.

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