Dal Saggio sulla cecità alla danza di Virgilio Sieni: un percorso di sopravvivenza e solidarietà
di Anita Laudando
Napoli. Teatro Mercadante: Cecità. 2 e 3 marzo 2024. Il ruminìo di una gomma da masticare e poche parole sussurrate nel vuoto bianco di uno spazio ancestrale: “la – paura – acceca – eravamo – già – ciechi”. Coprodotto dal Centro Nazionale di produzione della danza Virgilio Sieni, Fondazione Teatro Piemonte Europa, Fondazione Teatro Metastasio di Prato. Liberamente ispirato al famoso romanzo di José Saramago, l’attenzione per questa messa in scena è alta. Espirare. Inspirare. Alludere; Grotowski. Trasparire. Ombre. Luci. Tracce; Peformer.
La prima parte, fra le musiche di Fabrizio Cammarata e i suoni di Mauro Forte, è una performance di corpi dilatati, di significanti onirici. Un velo di Maya, che sarà rinviato e mai squarciato sotto le luci evocative di Andrea Narese. Quando l’opacità evapora, le coreografie di Virgilio Sieni delineano circuiti fisici. In sala il pubblico mormora, è toccato dalle immagini, è innervato dai rumori che rimandando ai silenzi degli occhi. Jari Boldrini, Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Lisa Mariani, Andrea Palumbo, Emanuel Santos si avviluppano in un unico movimento, come unico è il destino degli abitanti di una città utopica in cui l’epidemia di cecità e la peste dell’essere, rendono l’umanità schiava degli istinti di sopravvivenza.
Se durante la lettura del libro non possiamo che ripensare allo stato di natura di Hobbes, in cui ogni uomo è lupo per l’atro uomo, nello spettacolo in questione assistiamo ad un ricercato lavoro di bios scenico in cui si evince la raffinata ricerca sulla convergenza di punti energetici. Costumi ed elementi scenografici sono di Silvia Salvaggio.
Ci troviamo in un mare latteo, ci sentiamo identificati con i corpi che cercano l’equilibrio geometrico attraverso una danza che sembra fatta di tentativi. Tante le suggestioni ma, sicuramente, l’asta con cui un Arlecchino senza volto cerca i rumori del mondo esterno a questa bolla di angoscia, genera l’ inquietudine di un processo artistico ben riuscito. Degne di nota anche le maschere di Chiara Occhini che alludono ad animali totem, ad un bestiario che rimarca l’importanza dei corpi d’arte mai lasciati all’anarchia del pessimismo.
Non possiamo che concludere con LeKain: “La prima dote dell’attore è l’anima, la seconda è l’intelletto, la terza la sincerità e il calore dell’interpretazione, la quarta il disegno raffinato dei movimenti fisici”.