Città della scienza, Napoli perde un gioiello
NAPOLI (di Antonio Mastroberti) – E’ una nuova sconcertante cartolina quella spedita questa notte dalle fiamme di città della scienza sul mare di Bagnoli. Insieme con il fumo dei capannoni l’aria si è intrisa di un impercettibile messaggio autodistruttivo, per una città che è agli ultimi posti nella qualità della vita, ed in cui gli spazi per il tempo libero praticamente non esistono, oppressi come sono da incapacità amministrative oramai croniche ed il solito, terribile retro pensiero della criminalità organizzata, che mette le mani su tutto, anche su ciò che di bello ancora (ci) rimane.
Questa nuova devastante istantanea rischia di smorzare anche le prospettive future di cambiamento. Perché questo sarebbe Bagnoli, in definitiva, per i napoletani: una speranza, un idea che il bello ci possa essere, almeno in futuro, per i nostri figli, per prendere il posto delle assurdità e dei mostri che ancora campeggiano, simbolicamente, sull’ex area industriale; in questo contesto, in definitiva una delle poche cose che funzionava, in termini di iniziative, non solo didattiche, per i ragazzi, e di spazi aperti alla collettività, era proprio Città della Scienza, primo anello di un più ampio progetto, e pur tuttavia, è bene ricordarlo, in una non trascurabile crisi finanziaria.
Allora, quello che si chiederebbe, almeno, è di non bruciare anche la speranza di rinnovamento, perché se anche quel poco di buono che c’è, a Napoli, può svanire in un colpo d’ali, senza che nessuno possa farci nulla (e non ci si riferisce solo al fuoco di questa notte), viene meno anche la speranza di cambiamento, che oramai si tende ostinatamente a riversare sul futuro dei propri figli.
E’ per questo che quando questo genere di messaggio proviene da un luogo, quello dell’ex area industrializzata di Bagnoli, che da anni si candida vanamente ad ospitare proprio spazi per il tempo libero ed il turismo, ma che registra ormai il ben noto passo del gambero, si rischia di trarne qualche sconsolante conclusione: più che andare nella direzione della vivibilità e dell’organizzazione dei (pochi) mezzi a disposizione, il panorama cittadino tende alla desertificazione, quando si parla di spazi per i bambini, di verde, di vivibilità, insomma dell’idea stessa di dimensione urbana al servizio delle persone e dei loro bisogni.