Blade Runner 2049, è tempo di vivere
di Danilo Piscopo
NAPOLI – Se in origine il tormento principale di un prodotto artificiale era cosa mi rende differente da un Uomo? la risposta era duplice e tremenda: Il ricordo e il tempo. Eppure la sensazione di essere spettatori di una nuova fioritura di umanità in una civiltà, quella umana, ridotta in pezzi da un progresso/regresso era lampante. Possono i Replicanti essere una forma evoluta (migliorata?) della razza umana?
A Rick Deckard veniva affidato il compito di sperimentare sulla propria pelle una possibile risposta a questa domanda, per poi crearne inevitabilmente delle altre. L’indagine sul significato dell’umanità si sviluppava tra i vicoli bui di una Los Angeles avvolta dalle tenebre e costantemente bagnata dalla pioggia, una città che piange su se stessa, un genitore disperato sulle sorti di un figlio disperso. La malinconia del vivere trasudava dalla pellicola, così come negli occhi di Roy Batty alla fine del film con un dolce e straziante monologo: “Tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire…”
Nel 2049 non è più tempo di morire, ma è tempo di vivere. Adesso i Replicanti hanno piena coscienza di ciò che sono e della loro condizione, messi di fronte al passo successivo della loro evoluzione.
In molti avevamo paura e ci interrogavamo se effettivamente si sentisse il bisogno di un sequel al capolavoro della fantascienza del 1982 di Ridley Scott, Villeneuve risponde deciso e sicuro di sé mettendo in scena qualcosa che sì ripercorre le glorie del primo film, ma con un gusto totalmente differente, rinnovando e attualizzando le regole del noir fantascientifico.
Allora ci allontaniamo dalla perenne notte di Los Angeles, chiusa e stretta dentro sé, per prendere più aria fra i suoi dintorni, vicino al suo mare e alle sue discariche. Una fotografia fredda anche in pieno sole è quello che colpisce maggiormente del lavoro svolto da Roger Deakins, che stupisce con una rivisitazione di tagli di luce sulla città totalmente differenti dal primo film. Fantastiche sono le sequenze delle strutture urbane, con pubblicità ancora più invasive rispetto all’82 con quelle luci al neon che oggi sembrano ritornare molto di moda. Il rapporto fra l’uomo e la macchina è forse fra gli argomenti principali del film, così come le citazioni ad altre pellicole, che però non aggiungono nulla di nuovo al lavoro fatto precedentemente da Spike Jonze con il film Her e al più complesso Ex Machina di Alex Garland, ma che dà una sensazione di già visto, già vissuto (divertitevi a trovare una simpatica citazione di Ghost di Jerry Zucker).
Nonostante tutto, Blade Runner 2049 resta un ottimo film, forse il miglior film di Villeneuve, se non altro il più impegnativo, una sfida difficile da superare data l’immensità della pellicola cult di Scott. Eppure il genio creativo di questo autore non fa rimpiangere la suggestiva messa in scena del film precedente, ma che addirittura lascia spazio a probabili sequel (che personalmente spero non ci siano) fino a rendere Blade Runner una vera e propria saga. Dal punto di vista attoriale, Ryan Gosling aggiunge un’altra stellina d’oro al suo curriculum regalandoci un Blade Runner freddo e silenzioso. Harrison Ford si tiene molto sulle sue, come ci ha abituati in questo ultimo periodo, e la sua recitazione risulta con l’età essere sempre meno convincente. Straordinarie sono Ana de Armas e Sylvia Hoeks, maggiormente quest’ultima nei panni di un Replicante spietato e altamente emotivo, bravissima nell’incutere timore e tensione allo spettatore.
Blade Runner 2049 è un film da non perdere assolutamente!
Voto 4/5 stelle.