Smart working e pandemia, cosa cambia nel mondo del lavoro
Domenico Franchino
Oggi parliamo di un tema che, in occasione della pandemia coronavirus, ha assunto un rilievo importantissimo, direi a livello planetario, lo smart Working nel nostro paese disciplinato da una legge del 2017 intitolata al lavoro agile .
In effetti, la pandemia da Coronavirus oltre a sconvolgere in modo radicale il nostro modo di vivere, le nostre consolidate abitudini, ha inciso profondamente scompaginando l’organizzazione del lavoro; difatti elementi che costituiscono il rapporto di lavoro quali il luogo ed il tempo della prestazione risultano essere assolutamente stravolti.
Le aziende, alle prime avvisaglie di pandemia, precedendo anche i provvedimenti governativi ed in assenza di specifici accordi, in modo del tutto autonomo, hanno provveduto a dare corso alle prestazioni lavorative da remoto senza di ciò dare preventiva comunicazione. Ciò ha determinato che i lavoratori, immessi in modo repentino e senza alcuna informazione, si sono trovati nella condizione del lavoro a distanza senza avere cognizione circa tempi ed orari di lavoro e del fatto che il nuovo luogo di lavoro veniva a coincidere con la propria abitazione.
Con simile modo di procedere, è stato evidentemente violato anche l’art 4 Legge 300/70 ( modificato dall’art 23 d lgs 151/2015 )in relazione all’obbligo di informativa in tema di controlli a distanza, sebbene questo rappresenti elemento fondamentale per monitorare il tempo della prestazione lavorativa, sua modalità e per il raggiungimento dei risultati prefissati.
Con la normativa che ha modificato il preesistente art 4 L 300/70 si è passati da un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi per il controllo a distanza, ad una declaratoria di liceità dei controlli solo per finalità indicate nella norma.
Gli impianti audiovisivi ed ogni strumento, dal quale discenda la possibilità datoriale di effettuare il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere impiegati solo per esigenze organizzative, produttive e per la sicurezza del lavoro e del patrimonio aziendale, previo accordo con le RSA ( rsu) ovvero con le organizzazioni sindacali.
In capo al datore di lavoro, che intende avvalersi dei dati acquisiti attraverso gli strumenti impiegati dal lavoratore per rendere la propria prestazione lavorativa, grava l’onere di informare preventivamente il lavoratore circa le modalità di utilizzo degli strumenti di lavoro e di controllo ed il rispetto della normativa della privacy nella sua vigente normativa.
La ratio di quanto detto risiede nel principio in base al quale i dati acquisiti lecitamente possono essere impiegati anche a scopo disciplinare; di conseguenza l’attività disciplinare viene ritenuta ammissibile solo nelle ipotesi in cui viene contemperata l’attività di controllo con la tutela del diritto alla propria dignità ed alla riservatezza posto in capo al lavoratore.
IL datore di lavoro, al verificarsi di simili ipotesi, deve in via preventiva informare il lavoratore dei controlli ad eseguirsi, avendo cura di specificare la tipologia dei controlli ai quali verrà sottoposto il lavoratore
Quando prima si parlava di rispetto della privacy, si intendeva riferire che in virtù della normativa esistente in tema di controlli a distanza viene ritenuta lecita solo quella attività di controllo che si concreti in atti leciti, proporzionali, pertinenti ed adeguati in relazione ai principi posti dal codice sulla privacy, lasciando alla normativa lavoristica solo quei principi non aventi connotazione del rispetto della privacy
Contrariamente a quanto previsto dai principi di cui si è riferito, nella attuale situazione, si è posta in essere una gestione disorganica del lavoro agile non seguita o correlata ad un effettivo mutamento delle modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, in quanto si è attuata una mera ed unica modifica relativa al luogo di adempimento della prestazione nel senso che questo dalla sede aziendale è stata trasferita presso l’abitazione del lavoratore.
Questa trasformazione di certo non può essere ritenuta facente parte della nostra vigente legislazione intitolata al lavoro agile, ponendo vari problemi sia in termini squisitamente lavoristici che di mancato rispetto della privacy. Ovviamente, non è ipotizzabile proseguire su questa falsariga in quanto verrebbe a legittimarsi un rapporto di lavoro in palese violazione di legge; tanto sia verso quella di natura lavoristica che in materia della privacy.
Nei fatti, tale modo di procedere è stato subito/accettato fino a qualche giorno fa ovvero solo per via della situazione emergenziale in atto. Difatti, il nostro parlamento ben presto si è reso conto della palese violazione dei diritti in relazione alla privacy chiamando in audizione il dr. Soro ,Garante della Privacy, onde fornire il suo autorevole parere in merito all’evolversi di tale situazione.
Difatti, il dr. Antonello Soro , in data 14 maggio u.s. è stato audito in seno alla commissione lavoro del Senato della Repubblica
Lo stesso, richiamando il diritto dei lavoratori in telelavoro di disconnettersi, ha espressamente messo in guardia dal proseguire nell’uso improvvisato dello smart working e “ …l’uso sistematico e pervasivo di sistemi di monitoraggio dell’attività del dipendente che lavora da casa ..”
Ha opposto netto diniego alla possibilità di utilizzo di pc forniti dal datore dotati di funzionalità per il monitoraggio sistematico e pervasivo del lavoratore.
Si è soffermato sulle nuove forme di rapporti di lavoro e dello smart working in generale evidenziando la necessità di assicurare al lavoratore anche il diritto alla disconnessione, senza il quale si rischia inesorabilmente di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privati ed attività lavorativa ; rendendo così, in un solo attimo, vana ogni conquista raggiunta dai lavoratori nel corso della storia.
IL tutto, ha ribadito il garante, preordinato a far si che le nuove tecnologie possano rappresentare fattori di progresso sociale e che siano, altresì, idonee a valorizzare la libertà del lavoratore ed a garantire la sostenibilità e conformità del lavoro ai principi costituzionalmente garantiti.
Le garanzie, cui ha riferito il garante, hanno quale minimo comune denominatore la protezione dei dati, ritenuta presupposto indifferibile, idonea a garantire il diritto alla libera autodeterminazione del lavoratore; il tutto nel pieno rispetto delle conquiste sin qui ottenute nell’ambito del rapporto di lavoro.
Il garante, nel corso della citata audizione, nel ringraziare la commissione per l’opportunità datagli, ha precisato di averla apprezzata molto in quanto “.. scelta importante, perché in un contesto emergenziale il rischio più grande è l’assuefazione, se non addirittura l’indifferenza alla progressiva perdita di libertà..”
In buona sostanza ha riferito, in modo più analitico quanto già scritto da noi in precedenza, soffermandosi sul fatto che il Parlamento sarà chiamato a svolgere un ruolo importante, finalizzato a rendere le limitazioni cui assoggettare i cittadini proporzionali ai fatti determinati.
Ovviamente ha riferito della protezione dei dati personali dei lavoratori, diritti ritenuti ulteriormente meritevoli della massima tutela anche perché vi è la piena consapevolezza della vulnerabilità degli stessi. Ha ulteriormente marcato l’esigenza di creare norme atte ad evitare eventuali abusi da parte datoriale ed ha precisato che le stesse debbono costituire oggetto di apposite norme e mai lasciate alla contrattazione individuale
Ha ulteriormente riferito dei controlli individuali e dei controlli squisitamente legati alla prevenzione del diffondersi del contagio pandemico e quindi della app relativa alla tracciabilità dei contatti, delle rilevazioni di temperature ed altri temi sempre legati alla pandemia e coinvolgenti il diritto del cittadino alla salute, alla privacy ed alla libera circolazione.