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Editoriali

Pompei non è Dinseyland

Napoli – (di Angelo Palumbo) – L’uomo moderno è riuscito dove ha fallito il Vesuvio: Pompei si sgretola!

La “Schola Armaturarum Juventus Pompeiani”, conosciuta dai turisti come “Casa dei gladiatori” o “Armeria dei gladiatori” è andata in frantumi il 06 novembre.

I carabinieri hanno sequestrato l’area in questione, provvedimento unico nella storia degli Scavi. Le abbondanti piogge dei giorni scorsi non possono essere la causa del crollo. La casa era considerata ad alto rischio fin dal 2006, quando era stata classificata al terzo grado, in una scala di rischio a quattro livelli, da uno studio condotto a partire dalla fine degli anni ’90.

Da un’altra indagine risalente al 2005, nel più grande mondo sito archeologico del mondo (senza considerare che gli scavi di Pompei, con quelli di Ercolano ed Oplontis, sono riportati nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO), solo tre case su dieci erano in uno stato che si poteva definire tra buono e discreto: quindi il 70% degli antichi edifici aveva bisogno di lavori di restauro e messa in sicurezza.

Ma la negligenza, l’incuria e l’assenza di una vera politica a salvaguardia del patrimonio pubblico hanno fatto sì che avvenisse il “delitto annunciato”; e non serve essere dotti, studiosi di archeologia o semplicemente degli appassionati per avvertire, dopo una notizia del genere, un senso di lutto e di sconfitta. E l’indignazione è arrivata fin oltre i nostri confini, visto che il «New York Times» ha pubblicato la storia in prima pagina titolando: «Il crollo di Pompei suscita accuse di negligenza pubblica». «Archeologi, commentatori e oppositori politici accusano il governo italiano – si legge sul quotidiano – di negligenza e cattiva gestione per il crollo della Casa dei Gladiatori, risalente a 2000 anni fa» .

Una delle soluzioni ventilate per il restauro del disastro, per il recupero del sito archeologico e per combattere l’incuria e la negligenza pubblica, è la privatizzazione!

Quale sarebbe, quindi, il ruolo dello Stato nella sciagurata ipotesi di un passaggio di Pompei ai privati? Proprio alcuni membri dell’Esecutivo, invece di recitare un bel mea culpa, dopo i tagli alla cultura e i tagli alla scuola, invocano la figura del manager come unica salvezza

La cultura è come l’acqua, è necessaria per vivere, e deve essere patrimonio pubblico.

Il sapere collettivo ci dà la nostra dimensione nello spazio e nel tempo, crea la memoria storica. Pian piano la nostra memoria storica sta crollando, proprio come la Schola Armaturarum, facendoci vivere un eterno presente. Ed un popolo, così come un qualsiasi essere vivente, senza memoria, senza cultura, e che lascia che la propria storia si sgretoli, non ha futuro.

L’eruzione del Vesuvio. non ha distrutto la città di Pompei, ha solo fermato il tempo, facendocela riscoprire con l’aspetto che aveva in quel preciso giorno del 79d.C: è uno spaccato di memoria che va preservato così com’è, e non con un insegna pubblicitaria all’ingresso e un uomo in costume d’epoca che fa da guida. I beni culturali non sono merci, lo Stato non è un’azienda e Pompei non è Disneyland.

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