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Musica e Spettacolo

Le Femmine sapute, “l’umana cretineria” al Palazzo de Liguoro

NAPOLI (di Cristina Cipriani) – La commedia in cinque atti è la penultima scritta del grande commediografo francese e narra la storia di una famiglia di ceto medio-alto, in cui si discute sul destino della figlia minore, Enrichetta. La giovane è in età da marito e all’oscuro della famiglia, ma in particolare della madre, Filaminta, s’innamora di un giovane di nome Clitandro. Quest’ultimo chiede aiuto allo zio di Enrichetta, Ariste, per chiederle la mano, ma le cose si complicano ed Enrichetta si trova a costretta ad accettare di sposarsi con Trissottino, giovane “poeta” ben voluto dalla madre. Tuttavia, Ariste non si arrende e decide di architettare un inganno che possa smascherare la reale natura di Trissottino.

In scena Le femmine sapute

L’associazione Teen Theatre in collaborazione con Asylum Anteatro ai Vergini presenta una commedia completamente rivisitata, in cui Ettore Nigro (riallestimento e regia), Massimo Maraviglia (adattamento) e Arturo Muselli (regia) hanno conservato la lingua sei-settecentesca per non tradire il testo originario, ma cambiando il tempo della storia, che, sottolineato dall’uso di costumi e della musica, ci trasporta in un salotto sui generis degli anni ’60 del novecento. Qui, tenendo conto della reale location in cui va in scena l’opera teatrale, il regista ha approfittato di ogni singola stanza della casa, dove i personaggi-attori sono accompagnati dagli spettatori, ignari di cosa gli stesse per capitare.

Lo spettacolo vanta un cast di eccelsa bravura (Virginia De Chiara, Silvio De Luca, Viola Forestiero,

Angela Garofalo, Roberta Ferreri, Paola Magliozzi, Roberto Maiello, Monica Palomby, Riccardo Rico, Daniele Sannino) che hanno saputo caratterizzare in maniera incisiva il proprio ruolo, tanto da poter essere a lungo ricordati.

 

Indubbiamente, il tema che Molière trattava aveva lo scopo di mostrare i buffi atteggiamenti di una tipica famiglia borghese di fine seicento, che, pur di apparire alla moda e dall’intelligenza sopraffina, discutevano animatamente di quale potesse essere il giusto modo di parlare, tralasciando la cura del contenuto dei propri discorsi.

Ebbene, guardando lo spettacolo, mi rendo conto che dal 1600 la situazione non è cambiata, forse potrei dire che è peggiorata, perché, se prima si cercava di raggiungere una bella forma nell’eloquio a discapito del contenuto, oggi contenuto e forma si equivalgono, a tal punto che, come si evince dallo spettacolo, «l’umana cretineria (maschile, femminile o altro che sia) induce ogni individuo a cercare le proprie gratificazioni, i propri riconoscimenti in cose e luoghi diversi da quelli in cui sarebbe utile e naturale forse cercare».

Pertanto, mi sorge spontanea una domanda: è possibile superare questo desiderio di raggiungere qualcosa che è giusto per gli altri e non per se stessi? Credo, soprattutto spero, che ci si possa liberare da desideri nati dall’inutile apparenza, abbattendo realmente «l’umana cretineria».

 

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