Notizie dall'Italia e dal mondo

Cronaca

Il lento declino di Palazzo Gravina

NAPOLI (di Maurizio Scialdone) – La facoltà di Architettura di Napoli, non più di vent’anni fa, è stata il centro del dibattito culturale sulla città, sul suo centro storico, sulle sue periferie. E così come le maggiori riviste del settore, tipo “Casabella” di Manfredo Tafuri e “L’Architettura cronaca e storia” di Bruno Zevi si accendevano in aspri dibattiti, così la Facoltà di Architettura si batteva contro il controllo della città da parte degli Enti fortemente politicizzati.

Palazzo Gravina, architetturaRoberto Pane scriveva del Centro Antico con straordinaria efficacia. Il Dipartimento di Storia dell’Architettura aveva firme prestigiose: De Fusco, Gravagnuolo, De seta, per citarne solo alcuni. Un dipartimento che ha fatto la scuola della Storia dell’Architettura in Italia.

La progettazione era affidata alle mani di Nicola Pagliara, Savatore Bisogni, Riccardo Dalisi, Massimo Pica Ciamarra, Michele Capobianco, tutti a loro volta figli di grandi professionisti. Luigi Cosenza in primis, ma anche Carlo Cocchia, Giulio de Luca…l’eccellenza.

Ora tutto è silenzio, tutto è demandato alle associazioni. Qualche gruppo sparuto di professionisti che ancora si da da fare per creare un minimo di dibattito. Ma quasi sempre fuori dalle mura di Palazzo Gravina o di quello che resta.

Quelle rare figure di talento che si sono formate nelle aule della Facoltà di Architettura sono state costrette a ruoli di comprimari, o addirittura sono dovuti andare via (uno per tutti Francesco Venezia) e chi è venuto da fuori, Alberto Ferlenga ad esempio, è fuggito a gambe levate.

Perchè questi grandi interpreti dell’architettura napoletana non hanno saputo rinnovare le loro scuole? Perchè nessuno di loro ha saputo, se non in pochissimi casi, creare dei veri e proprio laboratori di studio? Perchè giovani architetti sono stati tenuti in naftalina per decenni, senza contratti, senza stipendi, per poi dover fuggire via, ad Ascoli, a Reggio Calabria, a Ferrara, per poter fare il proprio mestiere a cui erano stati avviati e per il quale avevano ricevuto una formazione più che solenne? Perchè le “nostre” teste sono dovute andare ad arricchire il patrimonio di altri?

Non si può dare la colpa sempre alle istituzioni, ai fondi, alla mancanza o alla “deviazione” dei concorsi. Le istituzioni sono fatte da uomini, uomini che hanno litigato tra loro fin anche per un 110 e lode da assegnare ad un candidato piuttosto che ad un altro. E questo è il risultato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.