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Cultura

“Una Volta”, la mostra fotografica di Marco Natale

NAPOLI – In occasione della 8^ edizione della Giornata del Contemporaneo la Galleria PrimoPiano è lieta di presentare la personale di Marco Natale dal titolo: UNAVOLTA

Numerosi anni a percorrere i bui corridoi dove ad ogni passo v’era il possibile doloroso agguato della memoria, le verità che ingombrano e si trasformano in scandali alla luce ritrovata della coscienza. Lo scandalo, l’inciampo del cattivo esempio. Natale non s’arresta, sebbene il respiro si faccia corto e il petto si appesantisca ad ogni svolta, riprende il fragile filo del passato e prova di continuo a riannodarlo all’apparente solido capo del presente. Bisogna far quadrare i conti che mai quadreranno. Necessita allora di ordine, di moduli ostinatamente costituiti, di scatole per questo trasloco di una coscienza che il secolo non vuole considerare nel suo fluire futuro, come se la si potesse per davvero e per sempre rimuovere.

Siamo stanchi di memoria, sovraesposta e invadente, ormai vuoto rituale come il sollevamento di un calice nel nome del padre, un requiem senza il coro del libera eas de ore leonis. Ci si appella alla memoria quasi fosse un inesauribile bacino di originalità, una soluzione a qualunque impasse creativa, un ombrello sotto al quale ci si ripara indugiando pericolosamente in autocompiacimento.

Le opere di Marco Natale portano via l’inganno, ci vincolano alla verità della memoria non al suo abuso consolante e riparatorio. Quell’impigliarsi, del quale scrivevo nell’incipit, può essere paralizzante e può impedire di investigare fino allo stremo delle proprie possibilità e, non di rado, presta il fianco a ri-soluzioni blande, ad un finale che ci riporta nel mare tranquillo dell’oblio, perché è questo quel che accade quando la memoria è solo spento ritorno al passato: ci aiuta a continuare a dimenticare. Marco Natale non ha soluzioni programmate, colpi di scena al secondo atto, chiusure concilianti, egli scava e riporta alla luce, non archeologo della memoria ma pioniere di una nuova origine nella sua accezione ontologica. Osservando le opere di Natale, mi è subito ritornato alla mente il suggerimento che il dottor S. dà a Zeno Cosini, personaggio principale del capolavoro di Svevo, di scrivere la sua autobiografia che diviene diario frammentato e frantumato di quella identità che la psicoanalisi tenta di ‘ordinare’ e rassettare come fosse una cucina a soqquadro. Questo di Natale è un diario scritto a quattro mani diacronicamente, quello che egli ha ritrovato nelle immagini dell’appassionato padre che si cimentava con la fotografia e che egli ha proseguito recuperando quelle tracce e attraverso le stesse ha ripercorso e indagato. Scavare senza lasciarsi portare a fondo dallo scoramento, dalla resistenza che taluni ricordi impongono per un naturale, eppur insano, bisogno di rimozione. I graffi, i violenti tagli degli occhi, la volontà di rendere meno identitaria l’immagine restituiscono a quelle lontane tracce un’identità collettiva.
Unavolta è un lungo taciuto urlo che trova una crepa nel silenzio degli anni, delle storie e che finalmente si appropria dello spazio che gli appartiene per raccontarci quanto sia necessario superare la rimozione recuperando quell’infanzia, punto di partenza di Natale, la luce di quella infanzia che Zeno Cosini non riesce più vedere perché sebbene ancora riverberi essa è ‘tagliata da ostacoli d’ogni genere, vere alte montagne: i miei anni a qualche mia ora.

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