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(Video) Il World Press Photo 2012 nel Complesso di Santa Chiara

(Servizio: Daniela Giordano – Video: Carlo Maria Alfarano)

NAPOLI – Si è appena concluso il World Press Photo Exhibition, la mostra itinerante di fotogiornalismo internazionale che, nelle ultime tre settimane, ha occupato i locali del Complesso Monumentale di Santa Chiara. Dopo il successo di pubblico delle prime due edizioni, l’Associazione Culturale Neapolis.Art ha voluto replicare anche quest’anno l’evento, grazie alla collaborazione e il patrocinio fornito dall’Ordine dei Giornalisti della Campania, Comune di Napoli, Ambasciata dei Paesi Bassi e Consolato Generale della Francia, l’Istituto Cervantes, quello francese e il British Council e l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.

Il World Press Photo 2012
Il World Press Photo 2012

Il World Press Photo è uno dei più autorevoli riconoscimenti fotografici a livello mondiale, indetto ogni anno dall’omonima Fondazione di Amsterdam e giunto quest’anno alla 55 ͣ edizione. Attraverso diverse categorie di premi, riconosce il lavoro dei fotoreporter in giro per il mondo, spettatori delle diverse realtà, delle problematiche politiche e sociali dei singoli Paesi e gratifica quei lavori in grado di fornire con un semplice scatto non solo l’immagine dell’evento di cui sono testimoni, ma che riescano anche a raccontarlo, a descriverne la portata. Un contributo, insomma, al racconto della storia umana e dei grandi cambiamenti politici.

Quest’anno, il premio come Foto dell’Anno è stato vinto dallo spagnolo Samuel Aranda che mentre si trovava in Yemen, per conto del New York Times, durante le contestazioni della primavera araba, ha scattato l’abbraccio tra una madre – coperta dal velo – e il figlio ferito dagli spari della polizia sui manifestanti. Ancora una volta, a colpire la giuria è stato il dolore di una donna, così come nella precedente edizione aveva vinto il ritratto della diciottenne afghana Bibi Aisha, sfigurata per essere fuggita dalla casa del marito. Donne che nonostante vivano ancora senza diritti in molte zone della Terra, sono capaci comunque di mostrare notevole forza e coraggio.

Le donne sono state protagoniste anche dell’appuntamento di sabato pomeriggio all’interno della mostra. Novità assoluta di questa terza edizione, oltre ai workshop formativi e videoproiezioni dei fotografi vincitori, sono stati gli incontri speciali con fotoreporter e giornalisti che stanno lavorando a progetti di particolare interesse.

Abbiamo assistito alla raccolta fotografica “Just to let you know that I’m alive”, di Simona Ghizzoni, vincitrice del World Press Photo – categoria Contemporary issues, terzo premio – con il ritratto di una donna nella Striscia di Gaza, e della giornalista Emanuela Zuccalà. Il progetto, che nel tempo si è evoluto in un documentario pronto entro la prossima estate, raccoglie le testimonianze delle donne saharawi, popolo che vive nel Sahara Occidentale e nei campi profughi dell’Algeria e che protesta da oltre vent’anni l’opportunità di svolgere il referendum di proclamazione d’indipendenza dalla dominazione, al tempo, spagnola e ora marocchina. Una società dalla massiccia presenza femminile, portata avanti dalle donne che hanno preso il posto degli uomini andati in guerra o chiusi nelle carceri segrete. Donne che anche loro hanno vissuto anni di prigionia, a portare costantemente una benda davanti agli occhi, e dunque ridotte ora alla quasi cecità, o che non hanno più i capelli perché immerse in liquidi tossici. Queste sono solo alcune delle storie che all’incontro ci è stato raccontato. Storie di un popolo sconosciuto all’opinione pubblica generale. O almeno fino a ieri.

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