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Cultura

Viaggio nella Cappella Sansevero di Napoli

di Maria Stella Spiniello

Nel cuore del centro storico di Napoli è collocata la famosa Cappella di Sansevero. Essa, rappresenta senza dubbio uno dei più singolari monumenti che l’ingegno umano abbia mai concepito.

Un mausoleo nobiliare, un tempio iniziatico in cui è mirabilmente trasfusa la poliedrica personalità del suo geniale ideatore: Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero. Al centro della navata troviamo il famoso capolavoro realizzato da Giuseppe Sanmartino: il Cristo Velato. Fu così che Raimondo di Sangro incaricò il giovane artista napoletano di realizzare “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”.

La vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi sui piedi e sulle mani sottili, il costato scavato e rilassato finalmente nella morte liberatrice sono il segno di una ricerca intensa che non dà spazio a preziosismi o a canoni di scuola, anche quando lo scultore “ricama” minuziosamente i bordi del sudario o si sofferma sugli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo. L’arte di Sanmartino si risolve qui in un’evocazione drammatica, che fa della sofferenza del Cristo il simbolo del destino e del riscatto dell’intera umanità.

Raimondo di Sangro principe di Sansevero (Torremaggiore 1710 – Napoli 1771) fu un originale esponente del primo Illuminismo europeo. Valoroso uomo d’armi, letterato, editore, primo Gran Maestro della Massoneria napoletana, egli fu, più di ogni altra cosa, prolifico inventore e intraprendente mecenate.

Nei laboratori sotterranei del suo palazzo, in largo San Domenico Maggiore, il principe si dedicò a sperimentazioni nei più disparati campi delle scienze e delle arti, dalla chimica all’idrostatica, dalla tipografia alla meccanica, raggiungendo risultati che apparvero “prodigiosi” ai contemporanei. In virtù della sua concezione prevalentemente esoterica della conoscenza, di Sangro fu però sempre restio a rivelare nei dettagli i “segreti” delle sue invenzioni.

Le altre statue

Nella cappella Sansevero vi sono altre statue realizzate da diversi autori. Troviamo “l’amor divino” che tutt’ora è di incerta attribuzione. Affinità stilistiche con altre realizzazioni del Queirolo inducono ad ascrivere a lui questa Virtù; è ipotizzabile, però, che la prima ideazione sia stata del Corradini. Pur in assenza di profonda ispirazione, l’artista infonde al soggetto una riuscita vivacità descrittiva.

Una seconda statua degna d nota è senza dubbio quella del “Decoro”. I vari critici d’arte, sembrano siano concordi ad attribuire l’opera al Corradini.

Tale Virtù è incarnata da un giovinetto semicoperto da una pelle di leone; al suo fianco, una testa dello stesso animale, poggiata su un tronco di colonna, simboleggia la vittoria dello spirito umano sulla natura ferina.

La posa e il compiacimento della bella forma rimandano alla Pudicizia del Corradini, che qui raggiunge però un risultato meno felice.

La colonna reca incisa l’iscrizione “Sic floret decoro decus” (“Così la bellezza rifulge per decoro”). Il fanciullo calza al piede destro un coturno e al sinistro un semplice zoccolo, denotanti sia la sua duplice relazione con il mondo celeste e quello sotterraneo sia – secondo alcuni interpreti – la sua natura androgina, nonché il contegno che deve tenere ogni uomo secondo la propria posizione sociale.

Il capolavoro del Queirolo è senza dubbio il “Disinganno”, opera dedicata da Raimondo di Sangro al padre Antonio, duca di Torremaggiore. Il gruppo scultoreo descrive un uomo che si libera dal peccato, rappresentato dalla rete nella quale l’artista genovese trasfuse tutta la sua straordinaria abilità.

Un genietto alato, che reca in fronte una piccola fiamma, simbolo dell’umano intelletto, aiuta l’uomo a divincolarsi dalle maglie intricate, mentre indica il globo terrestre ai suoi piedi, simbolo delle passioni mondane; al globo è appoggiato un libro aperto, la Bibbia, testo sacro ma anche una delle tre “grandi luci” della Massoneria. Il bassorilievo sul basamento, con l’episodio di Gesù che dona la vista al cieco, accompagna e rafforza il significato dell’allegoria.

E’ la statua del “Dominio di sé stessi” (1767) di Francesco Celebrano a rappresentare la forza d’animo della defunta, “mai abbattuta dal destino ostile né troppo esaltata da quello propizio”. La statua raffigura un guerriero romano che tiene alla catena un leone ammansito, quasi ipnotizzato dallo sguardo dell’uomo. L’ intelletto e volontà prevalgono così su istinto, energia selvaggia e vanità delle passioni.

“L’Educazione”, allegoricamente rappresentata da una donna intenta a istruire un giovinetto, reca sul basamento il motto “Educatio et disciplina mores faciunt” (“L’educazione e la disciplina formano i costumi”). Il discepolo, che ascolta attentamente i premurosi insegnamenti della precettrice, tiene nella mano sinistra il De officiis di Cicerone, testo ritenuto dalla cultura ufficiale strumento insostituibile di comprensione del problema morale dell’utile e dell’onesto.

Portata a termine dal genovese Francesco Queirolo nello stesso periodo del Disinganno e dell’Educazione, “la Liberalità” è dedicata alla memoria di Giulia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, consorte del quarto principe di Sansevero.

L’idealizzata figura femminile al naturale è felicemente resa nella raffinatezza del volto e nel morbido drappeggio della veste. Nella mano sinistra la donna reca una cornucopia riversante ori e gioielli, mentre nella destra stringe alcune monete e un compasso, emblemi di generosità ed equilibrio. L’aquila, collocata simmetricamente rispetto alla cornucopia, rappresenta forza e temperanza, oltre a essere, secondo i bestiari medievali, l’unico animale in grado di fissare il sole.

Con il Cristo Velato e il Disinganno, “la Pudicizia” forma la terna d’eccellenza artistica della Cappella Sansevero. Realizzata nel 1752 dal veneto Antonio Corradini, la donna coperta dal velo è interpretabile come allegoria della Sapienza. Vi è il riferimento alla velata Iside, dea prediletta della scienza iniziatica.

Per quanto concerne “la Sincerità” di Corradini trattasi di una donna di serena bellezza, avvolta in un rigido panneggio raccolto con grazia ed eleganza, regge nella mano sinistra un cuore e nella destra un caduceo, simboli l’uno di amore e carità, l’altro di pace  e ragione. In basso si ammirano un carnoso putto di pregevole esecuzione – forse di Paolo Persico – e due colombe rappresentanti purezza, fedeltà coniugale, fertilità e, nel linguaggio alchemico, l’albedo della materia grezza, prima che si trasformi in pietra filosofale. La lapide, che esalta le qualità della nobildonna, fu composta da Raimondo di Sangro nel 1758.

La Cappella Sansevero rappresenta un mistero tutto da scoprire. E’ possibile, inoltre, prenotare i biglietti tramite il sito online.

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