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Editoriali

Napoli, dalla “munnezza” di miracolo di Berlusconi a Capitale dell’Acqua Pubblica

NAPOLI (di Antonio D’Alessandro)  La Giunta comunale di Napoli ha approvato nei giorni scorsi una delibera  che costituisce un grande passo in avanti verso la gestione pubblica dell’acqua in città. E’ la prima delibera in Italia che si spinge così avanti e che traccia il percorso per la trasformazione dell’Arin (Azienda Risorse Idriche di Napoli) da s.p.a ad Ente di Diritto Pubblico. Azienda Speciale o Istituzione, cosi è scritto.

Nell’atto si legge che “l’acqua è un bene comune indispensabile per la vita e che l’accesso ad essa è un diritto fondamentale di ogni persona come ribadito anche dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite”; e ancora “l’Amministrazione Comunale di Napoli ritiene che l’acqua deve rimanere permanentemente in mano pubblica attraverso l’impiego di istituti totalmente pubblici”. Viene stabilito, inoltre,  di “attribuire ad un comitato di esperti l’individuazione, entro un tempo non superiore a trenta giorni, delle modalità di gestione del Servizio Idrico Integrato, inteso come servizio privo di rilevanza economica, mediante istituti o strutture operative di carattere pubblico con esclusione di affidamenti imprenditoriali”.

Raccontata cosi sembra facile come “bere un bicchier d’acqua”, ma a Napoli di questi tempi nulla è facile e nulla è ciò che sembra. Come, ad esempio, la questione dei rifiuti. Poco tempo fa il Presidente del Consiglio lasciò questa città  annunciando al mondo intero, il miracolo secondo solo a quello della liquefazione del sangue di San Gennaro: la soluzione all’emergenza rifiuti a Napoli ed in Campania. Oggi, i napoletani che poco meno di un anno fa lo videro passeggiare per via Toledo mentre dispensava sorrisi e  stringeva mani e che nelle urne delle regionali si dimostrarono molto generosi con il centrodestra, hanno dovuto amaramente constatare che il miracolo della “munnezza” di Berlusconi in realtà è una “munnezza” di miracolo. La cronaca di questo mese, infatti, ci consegna una città di nuovo assediata dai rifiuti e la popolazione di Terzigno bastonata ogni giorno dalla polizia, solo perché rivendica il proprio diritto costituzionale alla salute e chiede di non sversare più in quella discarica. Oltretutto quella discarica è ubicata nel parco nazionale del Vesuvio.

Nulla è ciò che sembra qui al Sud dove anche fare della buona politica è difficile; in gioco, infatti, ci sono interessi economici giganteschi come quelli che genera la privatizzazione del ciclo idrico integrato in una grande città metropolitana.  A Napoli, anche se nessuno ne parla, la partita dell’acqua pubblica si sta disputando sotto le spinte di potenti lobbies economiche che intrecciano i propri interessi con quelli della camorra,  sempre pronta a mettere le mani su un affare da molti milioni di euro e pari almeno a quello della “munnezza”.

Un contesto difficilissimo nel quale Rifondazione Comunista e la Federazione della Sinistra hanno, in questi mesi, saputo ritagliarsi un ruolo importantissimo, da protagonisti. Durante tutta la campagna referendaria hanno saputo coniugare la mobilitazione dei circoli con una incalzante iniziativa istituzionale costringendo Comune e Provincia ad attivare l’iter per la pubblicizzazione del ciclo idrico integrato. Inoltre, quando si è trattato di rinnovare il  Consiglio di Amministrazione dell’ARIN, Rifondazione Comunista e la Federazione della Sinistra hanno scelto di “sporcarsi le mani” sedendo direttamente in quel consiglio con un progetto: lavorare per trasformare l’ARIN in Ente di Diritto Pubblico, obiettivo da raggiungere prima della scadenza del mandato dell’attuale Amministrazione Comunale. L’abbiamo fatto consapevoli delle critiche che ci sarebbero piovute addosso, in primo luogo dal movimento per l’acqua pubblica che riteneva mancassero le condizioni e soprattutto la volontà politica per raggiungere un risultato cosi importante.

C’è ancora tanta strada da fare e bisogna continuare a lavorare nel solco tracciato da questa delibera perché trovi conferma  in  Consiglio Comunale. E bisogna ritessere il filo di una iniziativa comune capace di costituire l’elemento di pressione determinante.

Oggi, di fronte ad un atto così importante quelle critiche suonano come ingenerose ed infondate, bisogna determinare un risultato, ciascuno nel rispetto dell’autonomia dell’altro e con gli strumenti che insieme abbiamo a disposizione.

Sedere nel Consiglio di Amministrazione di una partecipata, infatti, non è “occupare una poltrona” tanto per occuparla. Può, al contrario, attraverso le “buone prassi”, diventare un utile strumento di controllo sulla spesa e sulle azioni per la corretta  gestione della Cosa Pubblica.

Questa città potrebbe diventare la prima in Italia e la seconda in Europa dopo Parigi, ad avere un ciclo idrico integrato interamente gestito da mani pubbliche. Adesso, i partiti del centrosinistra, le associazioni, i movimenti, hanno di fronte a sé una straordinaria occasione per far prevalere la buona politica e per trasformare Napoli da capitale dei miracoli di “munnezza”  in Capitale dell’Acqua Pubblica. Si può, facciamolo insieme.

Antonio D’Alessandro

Commissario Federazione provinciale di Napoli PRC

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