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Lighthouse: Prometeo 2.0

di Danilo Piscopo

Non c’è niente di più entusiasmante nel Cinema di parlare dell’opera seconda di un regista promettente. Sono occasioni rare, momenti unici; come riuscire ad osservare la coda di una stella cadente nella notte di San Lorenzo o, meglio ancora, intravedere, in una tempesta in mare, la luce rassicurante di un faro che ti avverte: la terra ferma è vicina.

Robert Eggers è il faro, colui il quale sa raccontare se stesso attraverso le immagini; la sua luce il dono di Prometeo agli amanti del Cinema.

Si parlava da tempo di “Lighthouse” (2019), si percepiva la voglia di esplorare questo mare sconosciuto dopo il Capolavoro della sua opera prima, “The Witch”. Si sarebbe mai potuto eguagliare la bellezza visiva di quella campagna desolata, di quei boschi oscuri, di tutti quei volti di animali inquietanti e di un finale degno, non di uno, ma di almeno cento Oscar (per quello che possano valere nella realtà)?

Ebbene, Eggers ci è riuscito!

Finalmente disponibile a noleggio sulla piattaforma streaming di Amazon Prime Video, “Lighthouse” è un film dove solo un pazzo (o un impreparato) può trovare qualcosa di negativo.

Trama:

Verso la fine dell’XIX secolo, un uomo di nome Ephraim Winslow si reca su un’isola remota al largo delle coste del New England per lavorare un mese come guardiano del faro, sotto la supervisione dell’anziano e irascibile custode, Thomas Wake. Nei suoi alloggi, Winslow scopre nascosta la statuetta di una sirena che decide di tenere per sé. Wake si dimostra da subito molto esigente, assegnandogli lavori sempre più pesanti, come occuparsi di svuotare i loro vasi da notte e trascinare pesanti contenitori di cherosene su per il faro, vietandogli però categoricamente di accedere alla cima, da dove proviene la luce; Winslow nota infatti che ogni sera Wake sale di nascosto in cima al faro e si spoglia dinanzi alla luce. (Fonte: Wikipedia).

“Lighthouse” mette insieme Murnau e Kubrick, usa la pellicola e gira in bianco e nero nel formato 4:3 (come una volta) per portarci dalle parti di “Metropolis” di Lang o del “Gabinetto del dott. Caligari” di Wiene. Il risultato è sicuramente il film più autenticamente espressionista degli ultimi dieci anni.

Chi già lo ha etichettato come horror, rischia di esprimere un giudizio affrettato e riduttivo (il che equivale a  definire tale anche ”Shining” di Kubrick).

Le pellicole di questo genere sono delle vere e proprie esperienze visive, opere autoriali che trascendono lo spazio/tempo, restando punti fermi, immortali nella storia del Cinema; “Lighthouse”, per come è stato realizzato, è uno di quei film immortali.

Robert Pattinson conferma, dopo l’esperienza con Cronenberg in “Cosmopolis” e “Maps To The Stars”, di essere un attore brillante se ben diretto, riuscendo a convincere e ad allontanare da sé l’immagine della “diva”, idolo delle ragazzine cui le produzioni precedenti ci avevano abituato.

Willem Dafoe non ha bisogno di commenti, non esiste una interpretazione sbagliata nella sua filmografia da attore.  Si vocifera anche un suo ritorno con Eggers nel remake di “Nosferatu”, prossimo progetto del regista, che decide di riportare sullo schermo il Capolavoro espressionista degli anni ’20 di Murnau (sarebbe già la terza volta per “Nosferatu”, dopo il rifacimento eccezionale di Herzog). Attendiamo con ansia questa nuova avventura del talentuoso e più che promettente regista; nel frattempo, non lasciatevi scappare questo gioiello di cui si parlerà a lungo nel tempo.

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