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I Menecmi di Plauto diretto da Pippo Cangiano

NAPOLI (di Anita Laudando) – Se Plauto è uno dei più grandi geni comici di tutti i tempi, al Circolo Teatro Arcas di Napoli, dal 3 al 13 ottobre 2013, il “Teatro dell’Obbligo” ha saputo ben onorarlo con la messa in scena de “I Menecmi” diretto da Pippo Cangiano. Il tema dei simillimi, cioè del sosia, del doppio, è un topos tra i più diffusi nel teatro comico antico e moderno. “Salute e prosperità a voi, oh spettatori… Sapete chi vi porto? Plauto”. Siamo a Neapolis, ed un vecchio commerciante ha due gemelli, ma ne perde uno al mercato di Paestum. Che la commedia degli equivoci abbia inizio. Il prologo è affidato alla giovanissima Federica Totaro che interpreta Fisicle. Voce interessante, capace di sedurre immediatamente il pubblico. Personaggio vivo, delicato e forte sulla scena, finisce con l’essere dominante rispetto a quello di Erozia interpretata da una Sara Saccone ben guidata registicamente, ma forse ancora acerba per un ruolo così importante e in dizione.

I Menecmi di Plauto diretto da Pippo CangiaL’adattamento del testo mantiene le capacità fantastiche ed espressive dell’intreccio e degli attori. La scenografia di Clelio Alfinito ricrea un tappeto di sabbia, mentre due tabernacoli rivestiti di chiffon, hanno permesso alle luci di Enzo Scudiero, la realizzazione dei momenti di poesia delicatamente voluti dalla regia di Pippo Cangiano. Un taglio a tratti emotivo, e certamente tridimensionale, che ha saputo evidenziare la comicità nel rispetto dello spirito de “I Menecmi”. La traslitterazione fra più linguaggi è stata un’operazione ben studiata e decisamente riuscita. La sensazione di assistere a qualcosa di titanico è forte dal primo istante. Ciro Pellegrino entra in scena attraversando la platea, vecchio e curvo, ma brillante nello spirito, così come conviene al personaggio. Tutti i caratteri sono profondi, vissuti, e consapevoli, sia quando sono tipi caricaturali, che quando, invece, rivelano una umanità tale da rendere riattualizzabile la commedia plautina. Resta un po’ di amaro, pertanto, se anche un piccolo, secondario, personaggio è poco concentrato.

Rita Licenziato nelle vesti di un’ancella della moglie di Menecmo, appare messa lì per caso, non per scelta registica, ma forse per poca convinzione dell’interprete. Crudele e costruttiva provocazione le sarà il monito di Stanislavskij: «Non ci sono piccoli ruoli, ci sono solo piccoli attori».

Maria Rosaria De Liquori è invece, la matrona, moglie di Menecmo I e vittima dei suoi adulteri. Credibili le reazioni, godibile la sua maschera. “Signori, mariti, puttanieri, prendete esempio da me!”. Rubare un mantello alla moglie per regalarlo ad una cortigiana è l’input col quale Marcello Raimondi dà inizio alla sua performance da animale da palco. Ha due spalle formidabili: Francesco Sisto che interpreta Spazzola e Antonio Pastieri in un adorabile servo: Messenio. “Grande battaglia sarà” recita uno dei tormentoni dello spettacolo, e così è, perché Raimondi è un guerriero. Si sdoppia nella mente prima che nella parte e nella lingua. Persino i muscoli del suo viso sembrano obbedire a personalità diverse: Menecmo I, signore raffinato, e Mencmeno II, suo fratello gemello, buzzurro e villano, quando per volere del caso, capitano in scena in un contesto predisposto per l’altro, creando equivoci e vertigini di risate tra il pubblico, senza mai tradire uno dei due personaggi. Gag e ritmi brillanti anche per Nicola Galiero che in un baccante Cirillo colora i costumi di Angela Covesnon. Si resta affezionati al buon Messere, ai due Menecmo, al vecchietto arzillo pronto a regalare 40 denari prima di scoprire la verità, all’atmosfera, ai dialetti, ai veli della scena, all’odore della sabbia bagnata, al fiume immaginario in cui Fisicle ha immerso i suoi piedi. Due ore passano davvero in fretta, se tutto si risolve come ogni commedia che si rispetti, con la complicità degli spettatori, disposti ad accettare che “E’ certo che si sogna, quando si incontra un altro se stesso”.

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