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I danni per le chiusure, lo sport sconfitto dal coronavirus

Anna Maria Di Nunzio

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Questo quanto sancito dall’art. 32 della nostra Costituzione, dove per salute s’intende, riportando la definizione formulata dall’OMS, “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia”. Secondo tale definizione, “la promozione della salute è il processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla. (…) La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche”. Fin qui, insomma, tutto chiaro: mens sana in corpore sano. Eppure, da un anno a questa parte, causa attuale pandemia da Covid-19, in Italia parchi, centri sportivi, piscine, scuole di danza e palestre hanno le saracinesche abbassate. Dati alla mano, i danni economici, ma anche e soprattutto psico-fisici di tali chiusure, sia sul breve che sul medio-lungo termine, sono e saranno irreversibili.

Il danno economico

“Per stimare il danno economico, dobbiamo ragionare su tutto il periodo della pandemia, sperando di esserne fuori entro l’estate del 2021”, ha spiegato Giampaolo Duregon, presidente dell’ANIF, al Sole24Ore. “La situazione è che nei primi due mesi del 2020 (gennaio-febbraio) eravamo già in perdita per l’imminente arrivo del Covid in Italia. Nei tre mesi successivi (da marzo a maggio) la perdita è stata totale a causa del lockdown, mentre nei seguenti quattro mesi (da giugno a settembre) è stata al 50%. A ottobre la perdita è del 40% mentre a novembre sarà totale”, leggiamo ancora nell’articolo. “Nel caso si riaprissero gli impianti da dicembre in avanti – continua il presidente ANIF – avrebbero comunque un flusso economico non superiore al 20-30% rispetto all’anno precedente. Per il 2021 prevediamo un calo sostanziale pari al 70%, considerando che il totale del flusso economico annuo dei 100mila centri sportivi è 12 miliardi, solo per il 2020 il danno economico è di otto miliardi e mezzo circa”. La situazione, dunque, non gioverà di certo alle casse dello Stato, così come non giova al conto corrente dei milioni di lavoratori del settore. “Attualmente siamo disoccupati, o quasi. Quasi, perché essendo persone che amano il proprio lavoro, ci siamo inventati di tutto e di più, dagli allenamenti in videochiamata, via Skype, al parco, sul lungomare, ma c’è gente che attualmente non sta lavorando neanche così. Ad ogni modo le entrate sono diminuite e il nostro è stato uno dei settori principalmente colpito, in tutti i sensi”. Ecco quanto dichiarato da Antonio Diana, un esperto che di sport, e in particolare di bodybuilding, ci campa, non solo in quanto preparatore atletico, ma anche e soprattutto come atleta agonista. “Indennizzi, aiuti, non c’è stato niente. Né io, tantomeno molti miei colleghi abbiamo visto un euro, e siamo arrivati ad oggi ancora senza certezze”, ha poi detto, prevedendo che “tante piccole strutture chiuderanno, così come molte delle grandi, perché penso che non si ritornerà più, almeno per molti anni, ai classici allenamenti di una volta. Bisognerà adeguarsi per rispettare le norme, le distanze di sicurezza e le varie disposizioni che dovranno essere attuate. Ci sarà un concetto totalmente differente di palestra e fitness”. Prospettiva, questa, certamente non propizia per chi con questo lavoro mette il pane a tavola. E pensare che, stando all’art. 4 della Costituzione italiana, “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, oltre a tutelare “il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” (art. 35, Cost.). Chissà cosa penserebbero i padri costituenti nel vedere oggi le piazze gremite di disoccupati protestanti, di tutte le categorie, con la fame agli occhi.

“Visto che le palestre erano uno dei luoghi dove i contagi, studi alla mano, erano minimi se non nulli, io avrei semplicemente cercato di far rispettare le norme vigenti anti-contagio”. Questa la proposta di Antonio Diana. “Se ci sono strutture belle ampie, grandi, che possono ospitare un totale elevato di persone, in base ai criteri stabiliti, con ordine e organizzazione, non vedo perché debbano restare chiuse”, ha poi aggiunto, avanzando una proposta: “bisognerebbe restare aperti e chiudere solo le strutture che non si sono adeguate alle norme. Chiudere tutto a priori non tutela i cittadini”.

Il danno psico-fisico

Secondo uno studio sulle “ricadute dell’attività fisica sullo stato di salute delle persone”, portato avanti nel 2017 dalla Segretaria Scientifica di Presidenza dell’Istinto di Sanità Superiore di Roma, Chiara Cadeddu, in concomitanza col Centro Nazionale Per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute, “l’incremento dell’attività fisica contribuisce a prevenire e a tenere sotto controllo una ventina di fattori di rischio e di malattia ed è di sostegno al benessere psico-fisico”. Negli ultimi 10 anni, riporta la ricerca, è stato infatti confermato che “una vita sedentaria agisce come potenziale fattore di rischio per molte condizioni croniche, tra cui la sindrome metabolica, il diabete mellito di tipo 2, e patologie cardiovascolari”. Inoltre, una meta-analisi sempre della dott.ssa Cadeddu pubblicata di recente, che ha incluso dati di più di un milione di individui, ha dimostrato come “un’attività fisica quotidiana di moderata intensità (60 minuti al giorno) contribuisce ad azzerare l’aumentato rischio di mortalità associato alla prolungata sedentarietà e ad attenuare, sebbene non a eliminare, l’aumentato rischio associato alla persistente sedentarietà legata alla visione dei dispositivi a schermo per 5 o più ore al giorno”. Analogamente, i risultati dello studio European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) suggeriscono che “l’influenza dell’inattività fisica sulla mortalità sembra essere maggiore rispetto a quella di un elevato indice di massa corporea”. Eppure, i centri sportivi continuano a non essere menzionati negli ultimi DPCM emanati dal Governo. “Il Governo non ha mostrato il minimo interesse verso questo mondo che non è solo della cultura fisica, ma di uno stile di vita sano. E pensare che se ci fosse una buona educazione di base, partendo proprio dai bambini, la sanità andrebbe a risparmiare fior fiori di quattrini se ci fosse una cultura di base, un’educazione basata su un certo tipo di stile di vita”, ha sostenuto Antonio Diana. “I danni peggiori quando usciranno tra 10 o 15 anni. La sedentarietà forzata attuale sta facendo aumentare a dismisura il tasso di obesità, il numero di persone affette da disturbi alimentari”, ha poi detto, sottolineando che “fare sport migliora e aumenta il nostro sistema immunitario, quindi è un controsenso che lo stato chiude le palestre per tutelare la nostra salute”.  E proprio lui, che con la salute delle persone ci lavora, ha riscontrato che “lo stato psico-fisico di una percentuale molto alta dei miei clienti è totalmente cambiato, sono a terra. Stavamo lavorando assieme per cambiare verso uno stile di vita più sano. Poi ci sono state le chiusure, e senza la possibilità di fare prospettive a lungo termine, il loro stato prima psicologico e poi fisico è andato degenerando”.

I disagi per gli agonisti  

Anna Maria Di Nunzio

“Il bodybuilding attualmente è la mia vita, e all’inizio sembrava una cosa surreale. Dalla sera alla mattina ti ritrovi in un buco nero, senza sapere che fine farai”. Queste le parole di Antonio Diana. “Non è che un bodybuilder si prepara due mesi e finisce là. La sua preparazione dura anni, si migliora man mano”, ha poi spiegato. “Se il Governo mi da una chiusura e non mi da dei termini, io non posso fare più l’atleta, perché non so a cosa vado incontro, dove mi porterà il futuro”. Le chiusure, insomma, stanno avendo conseguenze negative anche sui nostri atleti. Tutti loro, nessuno escluso, portano alto il nome e l’orgoglio del nostro Paese a livello mondiale, eppure se non sei un calciatore, lo Stato italiano non ti tutela. Sì, perché il mondo del calcio non si è fermato. Ne dà conferma l’ultima decisione del Governo, grazie alla quale il pubblico potrà accedere allo stadio per Euro 2021 “almeno per il 25% della capienza”. Vale a dire 15.900 spettatori. Il più attento costituzionalista ci leggerebbe una palese disparità di trattamento, ma infondo si sa che “l’Italia è una Repubblica democratica fondata” sul calcio. “Eccetto per i calciatori professionisti, è tutto incerto”, ha infatti confermato sempre Antonio Diana, che attualmente si sta preparando per una competizione importante in quanto parte integrante del Team Romano, una delle più affermate e valide squadre del bodybuilding italiano. “Chi mi dice però che domani mattina io mi sveglio e scopro che non si può viaggiare senza vaccino? Ci vogliono anni a costruire e massimo due mesi per distruggere tutto il lavoro di una vita”, ha detto. Ad ogni modo, la prima tappa del tour agonistico 2021 sarà in Polonia, a Varsavia, il 15 maggio. “Cercheremo di mantenere alto il nome dell’Italia” anche se i nostri politici non fanno lo stesso. Ad Maiora.

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